In Crimes of the future i significati e la loro comunicazione non appartengono più alle coscienze o alle parole. Ogni cosa è confinata a una sola dimensione: il corpo. Ma anche scrivere sulla pelle è un’azione inefficace oramai. Il tatuaggio, l’ultimo dei linguaggi modaioli, non basta più per infliggere significati sulla superficie della propria epidermide. Si deve andare necessariamente oltre: incidere la pelle, entrare all’interno e lasciar dischiudere tutti i possibili significati interiori, nascosti tra gli organi.
Segnare corpi per scavare simboli: è così che Viggo Mortensen – una statua in movimento – diventa il più grande performer nel mondo dell’arte. Si lascia crescere dei tumori nel corpo, come fossero nuovi organi, per poi asportarli dal vivo nel corso di vere e proprie installazioni d’arte contemporanea.
Grazie all’aiuto della sua assistente – la giusta Lea Seydoux – il disordine e il caos all’interno del suo organismo sono sconfitti. Così equilibrio e ordine sono ripristinati. Ecco la nuova arte, ormai impotente nella produzione di significati mediante il solo linguaggio astratto, incapace quindi di destabilizzare l’organismo sociale e sublimarlo attraverso una parabola di bellezza.
Non esistono più significati tumorali nel corpo sociale, perciò gli ultimi significanti sono da ricercare nei corpi degli individui, col fine di esporli in pubblico sotto forma di spettacolo. L’artista non sfida la malattia del pensiero ma lotta coraggiosamente contro il morbo del corpo.
Una chiara metafora dello svuotamento contemporaneo dell’arte, costretta a tornare al corpo, nei corpi così come il sesso, obbligato a trascendere la sua naturale dimensione di contatto. Nel mondo di Crimes of the future il piacere sessuale avviene attraverso l’incisione di tagli sulla pelle. Una drammatizzazione dell’autolesionismo proprio della sottocultura emo? Tutt’altro, si tratta in realtà di una trasfigurazione della crescente difficoltà corporale nel penetrarsi e compenetrarsi.
Non c’è alcuna differenza tra uomini e donne; il piacere sopraggiunge, a prescindere dal genere, mediante tagli inflitti da macchine. Sono ferite, sublimi ferite, cioè vagine create sulla pelle, a rappresentare l’unica forma di contatto e quindi di piacere tra due corpi, che al massimo possono compartecipare alla medesima esperienza sessuale. Così come un altro performer, che si lascia cancellare tutti i sensi per assecondare il solo udito; orecchie installate lungo tutto il corpo fanno vibrare ogni singola parte al ritmo dei suoni, senza passare dalla loro elaborazione psicologica.
Questo lo scenario distopico disegnato con tatto da Cronenberg, che ha evitato di mettere in scena l’accentuazione del virtuale e della rappresentazione digitale, limitandosi a lasciare l’insieme della narrazione al solo livello corporale. E un corpo costituisce infatti il nodo centrale da cui si dipana l’intreccio del film. Il cadavere di un ragazzo di una decina d’anni, ucciso dalla madre perché capace di mangiare soltanto plastica.
Sarebbe il primo essere umano, venuto al mondo con un apparato digerente in grado di assimilare materiali sintetici e trarne nutrimento: il definitivo segno del passaggio dall’umanesimo al transumanesimo. Se così fosse, la tecnologia sarebbe finalmente entrata in maniera naturale negli organismi umani.
Intorno al cadavere del ragazzo si snoda allora l’agire dei diversi protagonisti: suo padre, che spera diventi il simbolo di una nuova era, la Politica, incarnata da un rappresentante della Polizia Segreta, impegnata a combattere le conseguenze di tale deriva tecnologica e l’arte, rappresentata da Mortensen, incaricata di mettere in scena l’autopsia del cadavere (d’utopia)… fino ad arrivare al culmine finale dell’azione narrativa.
Certo, il film è pervaso da uno stile splatter (mitigato dall’eleganza di fotografia e di alcune scenografie) e diverse trovate grottesche; alcune riuscite come la sedia collazionista, che permette di ingerire cibo attraverso una sana lotta che scuote le viscere.
Molte altre invece costituiscono inutili cadute, come la parodia del sesso orale mediante l’assunzione di sangue viscerale o gli omicidi effettuati mediante trapani, che si aggiungono ad una generale debolezza nella costruzione dei dialoghi, spesso sospesi tra il banale del luogo comune e l’enfatico del filosofico. In ogni caso Crimes of the future è una distopia intelligente, non scontata e soprattutto onesta: forse l’unica realizzabile oggi.
Forse per questo il film è stato accolto da boati di fischi alla première durante il festival di Cannes. Immaginare il futuro è spesso un crimine, non accolto da mani che sanno applaudire solo alla loro piatta catarsi.