L’aborto è in Italia una realtà tragica. Dal 1978 ad oggi, anno in cui fu approvata la legge 194, sono stati effettuati oltre sei milioni di cosiddette IVG, acronimo che sta per interruzione volontaria di gravidanza. Dunque in soldoni, oltre sei milioni di esseri umani mancano all’appello.
Questi sei milioni non sono un semplice dato statistico, in fondo sterile e anodino come generalmente sono i dati statistici, no; sono oltre sei milioni di persone che avrebbero potuto vivere in mezzo a noi, figli di donne che ebbero la buona, ottima idea di non abortire; questi sei milioni di fantasmi sono persone che avrebbero potuto avere una vita come tutti, ma alle quali questa vita, bella o brutta che fosse, è stata negata prima ancora che potesse cominciare.
Cos’è l’aborto? Una cosa terribilmente semplice in termini di definizione, certamente non semplice nella sua tragica realtà: la soppressione di un essere umano nella sua fase embrionale, quando, se gli fosse concesso, potrebbe svilupparsi, fino a nascere, e vivere e divenire un uomo, o una donna; magari diventare un medico o un astronauta, un cantante o un impiegato del catasto, o più semplicemente un lavoratore dipendente o niente di tutto ciò, ma che comunque, senza la sua uccisione, avrebbe avuto quello che ogni credente sa essere il primo dono del Creatore di tutto: la vita.
Se quell’embrione o feto non fosse stato soppresso, sarebbe vivo, sarebbe una persona e potrebbe a sua volta trasmettere la vita ad altri. Questo diritto gli è stato negato; con violenza, in modo comunque cruento, sia che per arrivare allo scopo si siano utilizzati i ferri di un chirurgo o il veleno di una pillola, la RU486, utilizzabile in Italia fino alla 9 settimana di gravidanza, pare ora anche senza la necessità di tre giorni di ricovero ospedaliero, in modo e maniera che chi vi ricorre possa pensare ad una cosa semplice e banale, in fondo trascurabile come un’indisposizione qualunque.
Questo è il dato di realtà certo e inconfutabile. Purtroppo per tutto un mondo, che per comodità definiamo con la parola progressista, ma che ci rendiamo conto essere di per sé incompleta e fuorviante, il dato di realtà se fa a pugni con quanto si desidera, non conta, è un nulla.
Così quella che in alcuni casi può essere una necessità dura e infinitamente dolorosa, si pensi a quelle gravidanze che possono mettere in serio pericolo la vita della madre, diviene in questo strano paese che è l’Italia di questi anni, un diritto inalienabile direttamente contrapposto a quello che dovrebbe essere il primo dei diritti, quello alla vita.
Certamente l’Italia non è il solo paese dove si pratichi l’aborto; praticamente tutti i paesi cosiddetti civili lo permettono anzi, nell’Unione Europea c’è già chi, come il primo ministro francese Elisabeth Borne, si dice preoccupato e disposto a vigilare sui “diritti” che il nuovo governo italiano, presieduto da Giorgia Meloni, potrebbe, non sia mai, mettere in discussione.
Non so se sia tecnicamente corretto definire “diritto” la possibilità tragica di sopprimere una vita, certamente nella stragrande maggioranza dei casi la donna che ricorre all’interruzione di gravidanza lo fa spinta da motivazioni molto serie, gravi, laceranti. E allora perché non aiutarla? Perché non intervenire moralmente ed economicamente perché non si senta sola, non si senta costretta ad un atto che ha tutte le potenzialità di procurarle un dolore profondo e permanente? Perché come è stato detto, non intervenire per dare alla donna un “diritto” infinitamente più umano e più conforme alla sua natura intima e profonda, il diritto a non abortire, il diritto ad essere madre?
Sempre questo mondo progressista, che vorrebbe essere moderno e illuminato, ma che è solo l’esercito di un infinito nulla, si straccia le vesti pubblicamente, magari ricorrendo a Chiara Ferragni, l’influencer oggi molto seguita e alla moda, che ha il volto di una madonna e gli occhi glauchi, che però se li osservi bene, trasmettono un senso di vuoto profondo.
Questo mondo, di cui si è appena detto, si straccia le vesti perché, pensa un po’, tanti medici, tanto personale sanitario, con percentuali che in alcune regioni italiane superano il 90%, si dichiara, con sommo scandalo dei fautori del “diritto” all’aborto, obbiettore di coscienza, cioè in altre parole, rifiuta di praticare l’aborto.
Non dovrebbe poi essere tanto difficile comprendere che chi ha voluto diventare medico, infermiere, farmacista, o comunque ha scelto una professione sanitaria, lo ha fatto con lo scopo di aiutare la vita, di salvarla dal dolore e per quanto possibile dalla morte, e non di sopprimerla.
L’aborto dicevamo è l’uccisione di un essere umano in fase embrionale, quando, è la scienza che ce lo dice e su questo non ci sono dubbi, fin dalle prime ore del concepimento, il nuovo essere è assolutamente completo; nel software di quel grumo di cellule già è scritto tutto, tutta la sua umanità; dal colore dei capelli, a quello degli occhi, all’altezza, al carattere estroverso o melanconico, all’amore per l’arte o per lo sport. Ed è questa umanità, non altro, che con l’aborto si sopprime.