Il memorandum Ue-Tunisia firmato domenica 16 luglio nel palazzo presidenziale di Cartagine, firmatari da un lato il trio Meloni-Von der Leyen-Rutte, dall’altro il presidente della Repubblica tunisinoi Kais Saied è poco più di una finzione: un pacco-dono ben confezionato con dentro nulla.
Per ottenere la firma di quel memorandum Giorgia Meloni si è recata tre volte in Tunisia nel giro di un mese. Ed è riuscita a far sì che un obiettivo primario del suo governo diventasse un obiettivo dell’Europa. Pian piano, mandando prima i suoi ministri Piantedosi e Tajani, recandosi poi in Tunisia da sola, e infine mano nella mano con la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen – e il premier (dimissionario) Rutte a fare da garante – ha ottenuto che l’Europa ci mettesse la faccia. Riuscendo a ribaltare i due assunti che hanno fatto comodo a tanti paesi dell’Ue ovvero a) che in virtù del Trattato di Dublino gli sbarchi di migranti sulle coste italiane sono un problema dell’Italia e b) che se l’Italia ha da obiettare è perché è un paese razzista, poco accogliente – e che può solo peggiorare con un governo di destra. Adesso gli sbarchi sono stati addossati all’Europa e il razzismo è stato esternalizzato in Tunisia e Meloni, sponsorizzata dalla rispettabile von der Leyen, entra a pieno titolo nei salotti buoni europei.
Al di là di questa legittimazione c’è da sospettare che il memorandum avrà scarsissimo impatto sia sulla Tunisia – non migliorerà di un’oncia le precarissime condizioni socio-economiche del paese – sia sull’Europa – non diminuirà in maniera significativa gli sbarchi sulle sue coste. I suoi contenuti ricordano le perline colorate con cui i conquistadores si ingraziavano i capi dei villaggi sostenendo poi di averne legalmente acquistato i territori. Infiocchettati nella retorica delle “relazioni fra i popoli” e della “partnership modello” troviamo: un ampliamento del già esistente Erasmus+ per i Tunisini (10 milioni di euro); un contributo per “modernizzare” 80 istituti scolastici tunisini e soprattutto “prepararli alla transizione verde e digitale” (65 milioni): E poi ancora: sviluppo economico, incentivi agli investimenti, energie rinnovabili.
Progetti già in corso come il cavo sottomarino Medusa per la trasmissione dati e il cavo sottomarino Elmed di cui è tutto da vedere se gioverà alla Tunisia o all’Europa. Insomma niente di nuovo sotto il sole e niente a che fare con le condizioni attuali del paese: l’elettricità intermittente, le montagne di rifiuti, le scuole senza banchi e gabinetti. Dove i maestri elementari distribuiscono ai bambini fette di pane e harissa e gli alunni nelle campagne fanno chilometri a piedi per raggiungere le scuole. E i 150 milioni promessi per tappare provvisoriamente le falle del bilancio bastano sì e no a pagare gli stipendi pubblici di questo mese.
Poi, alla fine di tutta questa paccottiglia, c’è il punto 5: la “lotta ai trafficanti” cioè il contrasto all’emigrazione clandestina dalle coste tunisine. 105 milioni in mezzi e attività congiunte per arginare i flussi migratori: l’unica cosa che all’Europa interessa. E per la quale è disposta a sganciare qualcosa di più: 900 milioni a condizione che vada in porto il prestito di 1,9 miliardi oggetto di due anni di negoziati con il Fmi. Peccato che a ridosso della firma del memorandum, la sera del 16 luglio, Kais Saied si sia affrettato a dichiarare che tra le sfide che i due partner dell’accordo devono affrontare vi è quella “non certo la minore, di trovare dei nuovi modi di cooperazione al di fuori del sistema monetario internazionale istaurato alla fine della seconda guerra mondiale”, ovvero al di fuori del FMI, qualificato come “un sistema che si basa sulla divisione del mondo in due metà, quella dei ricchi e quella dei poveri.”Tale sistema “è illegittimo, non avrebbe dovuto esistere e non può andare avanti sotto la stessa forma e con gli stessi contenuti.” Non è la prima volta che Kais Saied attacca il FMI di cui “rifiuta i diktat” sostenendo che la Tunisia può farne a meno e trovare altri partner quali i BRICS.
Che lo faccia mentre non è ancora asciugato l’inchiostro delle firme in calce al memorandum d’intesa con la UE dovrebbe tuttavia allertare quest’ultima. I sorrisi di Giorgia Meloni e le elargizioni di Ursula von der Leyen non è detto che basteranno a garantire l’effettiva implementazione del punto 5. Non è detto che Kais Saied voglia farlo: cacciare i migranti sub sahariani va bene, riammettere quelli partiti dalla Tunisia e farsi carico del loro rimpatrio contrasta con il mantra saiediano sulla sovranità del paese “che trascende i mari, gli oceani e i continenti” come ha ribadito alla stampa ad accordo appena firmato. Non è neanche detto che possa farlo: i Tunisini sono profondamente ostili all’idea di diventare il hotspot dell’Europa, non ne vogliono sapere di campi di detenzione e rimpatrio sul modello libico e se anche fossero disposti a farsi comperare non lo sono certo per le misere prebende che l’Europa offre loro.
Di conseguenza non è affatto detto che le partenze dai porti tunisini diminuiranno in modo consistente né che aumenteranno in modo significativo i rimpatri per i quali esistono già accordi bilaterali con l’Italia. Tutt’al più l’Europa potrà rovesciare sulla Tunisia la colpa dei prossimi naufragi e dei prossimi morti: c’è da dubitare che la cosa faccia grande impressione ad un paese ormai assuefatto a vedere i propri giovani imbarcarsi su quelli che qui chiamano “le barche della morte”.
Alle preoccupazioni umanitarie dell’Europa per il destino dei migranti sub sahariani non crede ovviamente più nessuno: dimenticato il sussulto di virtuosa indignazione per le esternazioni di Kasi Saied sulla sostituzione degli arabi con gli africani domenica i rappresentanti europei sono fotografati sorridenti insieme a Kais Saied dopo la firma dell’accordo. Ma l’Europa rischia di scoprire che Kais Saied assomiglia di più a Gheddafi che a Ben Ali: imprevedibile e intrattabile, suscettibile e complottista, circondato da consiglieri di cui si sa poco e che stanno nell’ombra, impastato di nazionalismo arabo e islamismo di stato, dispotico e vendicativo. Con Gheddafi si sa come è finita. Se vogliamo un’altra Libia proprio di fronte alla punta dello stivale siamo sulla buona strada.