Due giorni fa sul Corriere della Sera un minuscolo trafiletto informava che la scrittrice palestinese Adania Shibli avrebbe dovuto ricevere un premio importante – il Liberaturpreis – alla prestigiosa Fiera del Libro di Francoforte ma che l’assegnazione del premio è stata annullata. Vabbè, gli organizzatori dicono pudicamente “rinviata” non si sa a quando. Sicuramente a quando la Fiera, uno degli eventi culturali più importanti del mondo, sarà terminata.
La notizia ha avuto scarsissima eco sui media malgrado l’appello in favore della scrittrice di più di seicento firme prestigiose di scrittori ed editori. Questo silenzio ha una ragione: il libro censurato – Un dettaglio minore, La Nave di Teseo – racconta una storia vera, la storia dello stupro e dell’uccisione di una donna araba da parte di soldati israeliani nel 1949. Far scoprire questa storia, in questo momento, al pubblico internazionale della Buchmesse metterebbe in crisi il racconto epico che i media e l’establishment occidentale ci propinano da settant’anni: quello dei buoni ed eroici israeliani costretti a difendersi dai cattivi e selvaggi palestinesi. Più o meno come ci hanno raccontato la storia dei cowboys e degli Indiani.
La letteratura palestinese non ha mai ricevuto nemmeno un centesimo dello spazio che è stato dato dai media e dalla cultura alla letteratura israeliana. Bisogna far passare il messaggio che i Palestinesi non hanno mai prodotto nulla in campo letterario e culturale. Se poi questa letteratura racconta, con la forza delle opere d’arte, come si vive, da palestinesi sotto occupazione israeliana, allora la sua voce va fatta tacere ad ogni costo, anche accettando senza battere ciglio il sostegno del paese responsabile del massacro di sei milioni di ebrei.