Articolo di Raja Abdulhaq*
Il 14 febbraio 1988, agenti israeliani piazzarono un’autobomba che uccise 3 leader palestinesi a Cipro, ponendo fine alla Brigata studentesca di Fatah. Le vittime, Mohammad Hassan Buhais (noto come Abu Hasan Qassem), Marwan Kayyali e Mohammad Basim Al-Tamimi, erano i dirigenti di un ramo studentesco di Fatah emerso come movimento marxista-maoista volto a unire i rivoluzionari arabi per la causa della Palestina.
Tuttavia, poco dopo la rivoluzione iraniana del 1979 e anni di valutazione interna e dibattito intellettuale, l’organizzazione abbracciò l’Islam militante. Questa trasformazione ideologica, influenzata da intellettuali palestinesi come Mounir Chafiq, un marxista cristiano poi diventato musulmano, segnò l’inaugurazione di una nuova era in cui l’Islam, come linea guida e fonte di ispirazione, giocò un ruolo primario nella lotta popolare contro Israele.
La creazione, la trasformazione e la fine della Brigata studentesca hanno motivato i militanti islamici in Palestina a resistere apertamente all’imperialismo occidentale, la cui manifestazione più immediata è stata la colonizzazione israeliana della Palestina. Probabilmente Hezbollah, Jihad islamico e Hamas devono gran parte della loro nascita al discorso intellettuale della Brigata studentesca. Il defunto capo militare di Hezbollah, Imad Mughniyah, era infatti un membro attivo di questo movimento.
Questo lunedì, tuttavia (pochi giorni dopo il 30° anniversario dell’assassinio di Buhais, Kayyali e Al-Tamimi), il giornalista Mehdi Hasan, nel suo ultimo episodio di “Blowback” su The Intercept, ha affermato che Hamas, il Movimento di Resistenza islamica palestinese, è stato una creazione di Israele. In questo resoconto, Israele avrebbe trascorso più di 20 anni a finanziare e creare Hamas per indebolire le principali fazioni nazionaliste palestinesi, in particolare Fatah e l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina.
Questo articolo sostiene che la narrazione di Mehdi Hasan non è solo un resoconto impetuoso e intellettualmente disonesto di una storia complicata, ma è anche concettualmente sbagliata. Presentando i militanti islamici come fanatici terroristi creati dallo stesso nemico che stanno combattendo, Hasan cancella il ruolo cruciale dei militanti islamici nel movimento contro la colonizzazione israeliana e sottovaluta il loro sostegno popolare. Una conoscenza elementare della storia della causa palestinese e della militanza islamica in Medio Oriente confuta queste affermazioni affrettate.
Hasan attinge alle interpretazioni convenzionali del “radicalismo islamico” – intrise di presupposti liberali e modellati dal discorso della “guerra al terrorismo” – per affrontare il rapporto tra Hamas e Israele. Sostenendo che i gruppi militanti islamici sono emersi come “contraccolpo” o semplici risposte alla repressione dittatoriale, egli rappresenta la svolta dei capi laici e nazionalisti verso l’Islam militante come risposte psicologiche alla tirannia, privando i musulmani di qualsiasi capacità intellettuale per abbracciare l’Islam come guida per la lotta politica.
Il ruolo dei militanti islamici nel movimento anticoloniale
Non solo Hasan ignora la storia dettagliata della partecipazione islamica al movimento di resistenza palestinese a partire dall’accordo Sykes-Picot, ma cancella anche l’impegno politico e la lotta di migliaia di musulmani palestinesi che non erano affiliati ad alcuna fazione ideologica prima e dopo la formazione dei secolaristi Fatah o del Fronte popolare marxista-leninista per la liberazione della Palestina. Al di là del classico ruolo di sapienti islamici come il Gran Mufti Amin Al-Husseini, che guidò la lotta contro gli inglesi e la prima colonizzazione sionista della Palestina, altri predicatori islamici come Izz Ad-Din Al-Qassam formarono milizie armate che abbracciavano il concetto islamico di Jihad difensivo come quadro ideologico per la loro lotta armata contro l’occupazione straniera.
Al-Qassam, originario della Siria, reclutò attivamente uomini e donne dai minbar delle moschee per incanalarli nella lotta armata contro il colonialismo britannico. Inoltre, il nome stesso dell’ala militare di Hamas, Brigate Al-Qassam, è una piccola testimonianza del ruolo dei militanti islamici nell’internazionalizzare la causa palestinese oltre i suoi confini, dato che Al-Qassam era di nazionalità siriana.
Inoltre, i Fratelli Musulmani, di cui Hamas è un ramo palestinese, non si limitarono a inviare volontari dall’Egitto, dalla Giordania e dall’Iraq all’Esercito arabo di liberazione nella guerra del 1948; hanno anche inviato milizie per combattere l’occupazione sionista a Giaffa, Gerusalemme e Gaza sotto la bandiera dei Fratelli Musulmani. Inoltre, dopo la sconfitta araba nel 1948, i Fratelli Musulmani ampliarono le proprie attività a Gaza, reclutando nuovi membri per guidare la resistenza contro Israele, tra cui Khalil Al-Wazir, che in seguito fu co-fondatore di Fatah, e Khairy Al-Agha, che in seguito fu co-fondatore di Hamas. Successivamente, questi combattenti dei Fratelli Musulmani a Gaza vennero addestrati da Abdel Moneim Abdel Raouf, co-fondatore del Movimento degli Ufficiali Liberi in Egitto e membro dei Fratelli Musulmani in Egitto.
L’attivismo dei Fratelli Musulmani a Gaza continuò nell’era post-1948 fino al 1954, quando Gamal Abdel Nasser lanciò un giro di vite contro l’organizzazione, imprigionando e uccidendo molti dei suoi dirigenti e costringendo i comitati dei Fratelli Musulmani a Gaza alla clandestinità. In risposta, Khalil Al-Wazir arruolò influenti membri dei Fratelli Musulmani per formare una nuova organizzazione nazionalista priva di un’identità apertamente islamica. Tra quelli reclutati vi erano futuri dirigenti di Fatah come Mohammad Yousef Al-Najjar, Salah Khalaf e Kamal Adwan. In questo senso, si potrebbero collocare le radici del movimento ‘laico’ Fatah nei Fratelli Musulmani, e sostenere che sia stato Fatah – e non Hamas – ad emergere in risposta alla repressione politica dittatoriale.
Le radici di Hamas
Mentre il video di Hasan mostra il carismatico discorso di Yasser Arafat “La pistola e il ramoscello d’ulivo” del 1974 all’Assemblea generale delle Nazioni Unite, descrive lo Shaykh Ahmad Yassin come un religioso palestinese “mezzo cieco” e “disabile”, ‘rafforzato’ dall’ala destra israeliana. Questo paragone insidioso – tra il laico “pacifico” e l’islamista “radicale” che soffre di malattie psicologiche e fisiche – è un classico cliché orientalista con una lunga storia nei media popolari.
Hamas non è solo un ramo palestinese dei Fratelli Musulmani focalizzato sulla beneficenza, sull’istruzione e sulla costruzione di istituzioni sociali; è un movimento fondato su imperativi islamici, creato per concentrare la resistenza armata contro l’occupazione israeliana. Fornendo poco del contesto politico-storico, tuttavia, Hasan suggerisce che Israele abbia “incoraggiato” la proliferazione dei militanti islamici a Gaza e abbia chiuso un occhio sulle loro attività al fine di “dividere e governare” i palestinesi. Ciò elude il fatto che lo Shaykh Ahmad Yassin e i suoi compagni che fondarono Hamas non erano degli estranei nelle loro comunità o, secondo le parole di Hasan, “un gruppo di estremisti islamici palestinesi”. Si trattava piuttosto di eminenti capi locali che combatterono per il benessere del loro popolo per decenni prima della nascita formale di Hamas.
Ad esempio, alla fine degli anni ’70, prima della creazione ufficiale di Hamas, i militanti islamici di Gaza e della Cisgiordania mobilitarono gli studenti nei campus universitari e formarono il Blocco islamico della Palestina. Ciò ha generato attriti e scontri tra loro e gli studenti fedeli a Fatah e al FPLP. Le autorità israeliane hanno identificato ciò come un’opportunità per esacerbare le divisioni all’interno del corpo studentesco (Fatah e il FPLP erano già alle prese con una serie di contestazioni interne) e hanno erroneamente dato per scontato che il nuovo movimento islamico avrebbe propagato nozioni apolitiche della pratica islamica piuttosto che rappresentare una minaccia alla sicurezza per lo stato israeliano.
Ciò che Hasan non ha menzionato è che, subito dopo che le autorità israeliane avevano osservato il coinvolgimento islamico nella resistenza armata nel 1983, le forze di occupazione imprigionarono lo Shaykh Ahmad Yassin insieme a dozzine di importanti dirigenti di Hamas, per il loro ruolo nella formazione di milizie armate. Fu solo grazie all’accordo di Jibril del 1985, che facilitò lo scambio di prigionieri tra le fazioni palestinesi e Israele, che Yassin fu rilasciato.
Tuttavia, due anni dopo aver fondato Hamas nel 1987, Yassin – insieme ad alcuni dei massimi dirigenti del movimento – fu nuovamente catturato nel tentativo di ridurre la forte presenza dei militanti islamici nella Prima Intifada palestinese. I tribunali militari condannarono Yassin all’ergastolo, fu rilasciato ancora una volta nel 1997, grazie a un accordo tra Giordania e Israele, stipulato dopo il fallito tentativo degli agenti del Mossad di assassinare il dirigente di Hamas Khaled Mashal ad Amman. Dato che Shaykh Ahmad Yassin, la guida spirituale di Hamas, ha trascorso la maggior parte degli anni formativi di Hamas in prigione, è ragionevole affermare, come fa Hasan, che Israele “ha dato potere” a tali militanti islamici per minare la dirigenza di Arafat e Fatah? E, se come afferma Hasan, Israele ha pazientemente trascorso due decenni a costruire e creare Hamas, perché ha imprigionato e assassinato i compagni di Yassin già negli anni ’80?
Hasan sottovaluta anche il ruolo fondamentale che i militanti islamici della diaspora e della Cisgiordania hanno svolto nel movimento anticoloniale. Sono stati i membri palestinesi dei Fratelli Musulmani in Kuwait a formare il nucleo centrale dei fondatori di Hamas nella diaspora. E molto prima, già negli anni ’60, i militanti islamici avevano partecipato ai campi di addestramento armato di Fatah in Giordania (noti come “campi degli Shaykh”). Infatti, fu in Giordania, più di un decennio dopo, che Khaled Mashal e i suoi compagni nel 1984 organizzarono una conferenza che inaugurò la formazione ufficiale di un ramo palestinese unificato dei Fratelli Musulmani, che avrebbe dovuto mettere in primo piano la decolonizzazione della Palestina. In breve, Hamas non è emersa arbitrariamente a Gaza con la benedizione di Israele; l’organizzazione è stato il risultato di un processo sistematico che coinvolse anni di pianificazione, preparazione, valutazione interna e strategia. È stato il frutto di anni di progressi e investimenti da parte dei Fratelli Musulmani volti a contrastare l’egemonia occidentale in Medio Oriente.
La vita sotto l’occupazione militare
Non solo Hasan travisa gli stessi militanti islamici, ma non riesce nemmeno a contestualizzare le testimonianze dei funzionari israeliani. Ad esempio, in “How Israel Helped to Spawn Hamas”, la testimonianza di Avner Cohen sul Wall Street Journal, Cohen afferma che Israele è stato responsabile della creazione di Hamas nella misura in cui non è riuscito a “frenare gli islamisti di Gaza fin dall’inizio”. Cohen critica anche Israele per aver tentato di sfruttare l’ascesa di Hamas per indebolire Fatah e l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina. Oltre a fare pressione sull’OLP e su Yasser Arafat nei negoziati segreti culminati negli accordi di Oslo, Israele ha trattato l’ascesa di Hamas come una nuova opportunità per indebolire la causa palestinese attraverso il dispiegamento di una retorica anti-islamica – un raro momento di attenzione verso l’ideologia di un gruppo di resistenza palestinese.
In breve, la descrizione di Hamas da parte di Cohen come “creazione di Israele” non era intesa alla lettera. Condivideva piuttosto la frustrazione per la riluttanza di Israele ad eliminare del tutto i militanti islamici, al di fuori dei parametri politico-legali della diplomazia internazionale.
Il video di Hasan offusca anche le disparità di potere tra colonizzatore e colonizzato. Il potere coloniale israeliano richiede la sorveglianza sistematica, il disciplinamento e il controllo della vita palestinese attraverso la regolamentazione istituzionale. Moschee, scuole, università e ospedali richiedono tutti il riconoscimento formale israeliano attraverso la registrazione coloniale, senza la quale queste istituzioni corrono il rischio di essere chiuse. Ad esempio, nel 1979-80, dopo anni di attacchi e vessazioni da parte delle forze statali, i militanti islamici di Gaza furono costretti a registrare Al-Mujamaa Al-Islami, un centro comunitario con una clinica, un asilo, scuole per giovani uomini e donne e un biblioteca. Nonostante queste tecniche israeliane di gestione coloniale, i militanti islamici sono riusciti a fondare istituzioni come l’Università islamica di Gaza, che accoglie più di 20.000 studenti palestinesi. Questo dinamismo politico dimostra che i militanti islamici sono stati efficaci non solo nella loro resistenza militare e politica al colonialismo israeliano, ma anche nel ricostruire e mantenere le infrastrutture sociali ed etiche palestinesi.
È anche importante notare che il dominio israeliano implica la regolamentazione della stessa società civile palestinese, che è costretta a dipendere dal “sostegno” legale della sua potenza occupante. Hasan non riesce a capire che secondo il diritto internazionale, le Convenzioni di Ginevra e la legge sull’occupazione, la vita civile palestinese è tecnicamente di esclusiva responsabilità delle autorità occupanti. Ma quando si tratta del presunto sostegno finanziario di Israele a Hamas, Hasan cita fonti che non affermano chiaramente di aver inviato fondi diretti a Hamas. Le vaghe testimonianze fornite da Hasan indicano solo il controllo dettagliato e totale di Israele sulla società civile palestinese. Per Hasan, però, questi aneddoti sono “prove” sufficienti per ritrarre Hamas come una creazione e produzione di Israele.
Conclusione
Forse nel nobile sforzo di difendere i musulmani dalle accuse di terrorismo, Mehdi Hasan presenta un resoconto politico frammentato e selezionato con cura che distorce la ricca e continua storia della resistenza militante islamica all’occupazione israeliana. La sua analisi storica impoverita non solo dipinge un quadro semplicistico di collusione tra militanti islamici e imperialisti occidentali, ma offusca anche il ruolo guida di Israele nella “guerra globale al terrorismo”, che prende di mira specificamente i militanti islamici nell’attuale fase momento. Mentre – come sembra suggerire il consenso palestinese – Fatah ha fatto concessioni sui principi politici fondamentali e toccato il fondo alla fine degli anni ’70, la polemica di Hasan implica che i movimenti nazionalisti laici hanno costantemente servito la causa palestinese in modo più efficace di Hamas e di altri movimenti islamici.
Dal punto di vista di molti palestinesi, l’attenzione di Hasan alla diversità ideologica all’interno del movimento anticoloniale ha poco significato. Il rapporto tra colonizzatore e colonizzato, occupante e occupato, carnefice e vittima rappresenta l’antagonismo più immediato e pressante nei confronti della maggior parte dei palestinesi che resistono all’occupazione sionista. Ciò è in gran parte dovuto al fatto che la macchina omicida israeliana è raramente attenta alle specificità interne dei colonizzati, anche se questo non è certamente il caso dei suoi appelli alla “comunità internazionale”, che costantemente caratterizzano il discorso anti-islamico dell’antiterrorismo.
Hasan, in definitiva, legittima la propaganda sionista che dipinge Hamas come un’organizzazione terroristica responsabile dell’assassinio di “israeliani innocenti”, invece che come un vero movimento popolare. La sua categorizzazione di Hamas come movimento antisemita (piuttosto che antisionista) mostra in modo più vivido i suoi impegni normativi. Sebbene il video di Hasan possa rappresentare un onesto tentativo di esonerare i palestinesi dalle accuse di violenza insensata, lo fa propagando una pericolosa dicotomia tra musulmani “buoni” e “cattivi” e demonizzando ingiustamente un’organizzazione militante islamica popolare.
Articolo originale pubblicato su Milestones Journal
*Raja Abdulhaq è un organizzatore politico e ricercatore musulmano palestinese, che si è laureato in Affari Internazionali al Brooklyn College.