I Gazawi in lotta per la sopravvivenza della Palestina stanno lottando anche per ogni Uomo di ogni Mondo. I Gazawi come i Fremen non si sono obliati nel sonno della coscienza, come noi.
La resistenza del glorioso Popolo Palestinese dura da 80 anni, è un fatto presumibilmente chiaro a tutti, ormai. Nessuno più, ormai, può continuare a fingere di non sapere che il Popolo Palestinese ha continuato a vivere in resistenza da 80 anni, che non si è arreso a farsi spazzare via né dai coloni israeliani inumani sterminatori, né dai governi israeliani sionisti militari terroristi che si sono alternati.
Una resistenza come quella dei Gazawi, noi l’abbiamo vista solo nelle saghe cinematografiche.
Una resistenza di questo genere, come quella del Popolo Afgano che ha ricacciato chiunque abbia tentato di assoggettarli, pagina storica ancora tutta da ripulire dalle menzogne e dalla disinformazione che ha fatto curriculum nello storico dei giornalisti occidentali mainstream; quella libica degli anni ’20, guidata da quel Leone del deserto, Omar al-Mukhtār, che da solo si è alzato alla testa del suo Popolo contro Italia e Inghilterra, senza alcun paese arabo al suo fianco; o la resistenza della Guerra di Indipendenza Algerina dal ‘54 al ‘62 guidata dal FLN contro l’imperialismo di Francia, che proprio per la sua natura di Fronte di Liberazione nullificò le altre forze politiche del Paese, esattamente come ha fatto Hamas in Palestina.
Ognuna di queste resistenze ha una similitudine con quella del Popolo Palestinese che le assomma tutte, purtroppo.
Per noi, che la nostra dignità umana è stata tanto sterilizzata, che la nostra fierezza umana tanto sedata dalle comodità del consumismo moderno fino a scomparire anche dal vocabolario quotidiano, per noi che l’avevamo viste solo sugli schermi delle fiction, abbiamo impiegato un po’ a capire che la resistenza dei Gazawi riguarda anche noi, che stanno lottando anche per ognuno di noi.
Non è sui nostri bambini, per misericordia di Dio, che cadono quelle Cluster bombs e le bombe al fosforo bianco che il Trattato di Ginevra del 1980 ha vietato sulle aree civili, sugli ospedali, sulle scuole, sulle case, tanto demoniache che ne è ammesso l’uso militare solo come illuminante o tracciante. Non sono le nostre città, ma è il territorio palestinese a essere ricoperto dai milioni di tonnellate di macerie, “una massa di detriti fortemente contaminata da munizioni inesplose e ripulirle sarà ulteriormente complicato da altri pericoli presenti”, secondo la denuncia del 1 maggio 2024 a Ginevra di Mungo Birch (Responsabile Servizio di azione contro le mine delle Nazioni Unite –Unmas-).
Eppure i Gazawi stanno resistendo anche per noi.
Gli studenti delle università di tutto il mondo lo sanno, e per ciò contestano ai governi internazionali vigliaccheria, accidia, ipocrisia e sciacallaggio.
La fierezza del Popolo Palestinese, i motivi della sopraffazione su di loro, il contesto geopolitico ed economico, riporta agli occhi della mente, fra tutte le saghe cinematografiche in particolare, Dune, pellicola dell’84 di David Lynch dal romanzo di Frank Herbert, poi riproposto fedelmente da John Harrison nella mini serie tv del 2000-2003 e, ancora, reinterpretato nell’adattamento in due parti da Denise Villeneuve (2021 e 2024).
Dune è forse il romanzo-testamento di Herbert, quello che meglio affronta le tematiche complesse che lo hanno attanagliato, la sopravvivenza umana e i modi della sua evoluzione, i piani di consapevolezza ecologica, la maturità della coscienza religiosa e politica, il superamento del concetto di potere, ancora tanto triviale. Un affresco che a guardando in sovraimpressione, induce a domandarsi se sia stata intenzionale l’aderenza precisa alla Storia del Popolo Palestinese.
Lo spazio geopolitico di Palestina, così come il deserto di Dune, non è lo “scatolone di sabbia” di salveminiana memoria, era un’economia che viveva di agricoltura florida prima che i coloni sionisti distruggessero tutti i campi coltivati, impedendo il sostentamento economico e alimentare alla popolazione palestinese, e la Spezia dei Fremen, nella realtà dei territori occupati potrebbero essere le risorse energetiche non sfruttate, compreso quel giacimento di gas al largo delle coste di Gaza, a cui i Palestinesi non hanno mai potuto accedere a causa degli impedimenti imposti da Israele e culminati nel blocco navale alla Striscia del 2007. Un bottino che fa gola a molti, oltre che a Israele. E, forse, ora diventa più chiaro a cosa dovrebbe servire veramente quell’attracco portuale ‘umanitario’ sulla costa di Gaza che gli USA intendono costruire utilizzando le circa 40 milioni di tonnellate (stime ONU) di macerie della città bombardata.
Cavalca l’infamia, nell’autobiografia appena uscita, anche l’Augias nazionale, nel perpetrare la falsità secondo cui gli ebrei ashkenaziti arrivano in Palestina a fertilizzare un deserto di sabbia, a prendersi una terra arida e disabitata. Non soltanto niente è più falso, ma è l’ennesima interpretazione di violenza epistemica.
Gli storici e gli studiosi, veri, sanno bene che lo spazio geopolitico di Palestina era l’esatto contrario di un deserto disabitato, era una terra fertile, abitata e coltivata fin dai tempi dei romani. Ilan Pappè spende le prime 60 pagine del suo saggio 10 miti su Israele, specificamente su questi due punti, per iniziare l’opera di distruzione di tutte le falsità sioniste diffuse a fondamento dell’agenda di colonizzazione genocida.
Quando i coloni sionisti arrivano, la Palestina è una parte fiorente del Bilad al-Sham, si trovano di fronte a una ricca industria agricola, città storiche ricche di cultura e centri che servono una popolazione multietnica di mezzo milione di persone, con scambi evoluti commerciali e culturali con diversi paesi oltre i propri confini. E’ una società con alti livelli di istruzione e alfabetizzazione, con una forte percezione del senso di appartenenza condiviso, tanto che nel periodo dell’Impero Ottomano “la società Palestinese viene introdotta a uno dei più potenti concetti del 19° e 20° secolo: la nazione”. (I. Pappè)
E’ evidente che questi elementi di consapevolezza diventeranno per il Popolo Palestinese, nel momento dell’occupazione, costituitivi per la resistenza al colonialismo sionista.
Il Paul Atreides, eroe della saga cinematografica, il condottiero illuminato, capace di far convivere pacificamente e in reciproca evoluzione etnie e culture diverse, è l‘Alessandro Magno conquistatore alla ricerca dell’Umano rappresentante del “pensiero vivente”, come lo definì Rudolf Steiner; è il Gengis Khan unificatore delle tribù asiatiche in un Impero.
Ma è anche di più.
Quando Paul Atreides diventa Muad’Dib, prendendo, come alto ufficiale, il comando del fronte di liberazione dei Fremen e addestrandoli al combattimento e, successivamente, il Kwisatz Haderach, alla guida della jihad che porta il popolo del deserto alla vittoria, Dune prende i contorni netti di una metafora molto puntuale, delineandosi nei riferimenti chiari della preparazione alla venuta dell’ Imam al Mahdi.
Il Popolo Palestinese, come quello dei Fremen, ha continuato a recitare a occhi aperti il dhikr per la propria liberazione, per il ritorno nelle proprie case, non si è concesso di perdersi nel sonno della coscienza come noi. E’ un popolo che si mantiene sveglio e puro, in un contesto marcio e decadente, infido, corrotto, bugiardo, sanguinario, sadico. Questa è la sua forza, nella realtà del Popolo Palestinese, a combattere al loro fianco non c’è una potenza terrena, né del mondo arabo, né del mondo occidentale che si autoproclama difensore dei diritti umani internazionali. Nessuno si è alzato in piedi, con la schiena dritta, in nome della giustizia e dei diritti umani. Con il Popolo Palestinese c’è il potentissimo Essere metafisico.
Il resto del mondo, i governi democratici, stanno lì, in attesa, come sciacalli sui cadaveri e sulle macerie di Gaza, aspettando di poter mettere le mani sulle risorse energetiche dei territori Palestinesi, che l’occupazione sionista ha tenuto in ostaggio, proprio come la Gilda Spaziale che “senza la Spezia, non riuscirebbe a spostare le immense navi nella galassia alla velocità del pensiero. Senza la Spezia, l’impero stesso cesserebbe di esistere!”
“Chi controlla Dune, controlla la Spezia.
Noi siamo i Fremen, il popolo silenzioso. Schiacciati e calpestati dai sanguinari invasori Harkonnen, attendiamo nascosti nel deserto la venuta del Mahdi, che verrà a liberarci, secondo una profezia vecchia di millenni.
Ma ora la nostra lunga attesa è terminata.
È giunto su Dune un giovane di un altro pianeta, figlio del duca Leto il Giusto, che tra noi sarà chiamato Muad’dib.
Egli è il Dormiente: colui che grazie alla Spezia risveglierà i propri poteri inimmaginabili e ci condurrà, vittoriosi, alla Guerra Santa finale.
Perché chi controlla Dune, controlla l’Universo”.
Il Popolo Palestinese, lottando strenuamente per la propria liberazione, per non permettere che il concetto di Palestinità scompaia dalla storia umana, come ha sottolineato più volte in questi 8 mesi l’avv. Francesca Albanese (Relatrice Speciale delle Nazioni Unite sui Territori Palestinesi Occupati) non oppone resistenza solo per se stesso, sta resistendo anche per ognuno di noi, affinché in ognuno di noi si risvegli la consapevolezza che Essere umano non è un sostantivo, è un’azione.