Il pellegrinaggio è un’esperienza unica che rappresenta non solo un viaggio verso i luoghi sacri, ma anche un potente simbolo dell’unità del genere umano e dell’esistenza di valori universali comuni. Durante il mio pellegrinaggio, ho vissuto momenti che mi hanno fatto comprendere profondamente come questa pratica religiosa possa essere anche un’occasione per riflettere sulla giustizia, la solidarietà e l’unità tra i popoli.
Dio l’Altissimo, nel sublime Corano, parlando della chiamata al pellegrinaggio dice:
“Proclama agli uomini il pellegrinaggio: verranno a te a piedi e su ogni sorta di cammello magro, percorrendo vie profonde e lontane, affinché possano trarne i benefici che ne derivano e menzionare il nome di Dio nei giorni stabiliti..” [22:27-28]
Il mio maestro Abdessalam Yassine, pace alla sua anima, commentando questo verso nel suo libro “a-Ihsan [L’eccellenza spirituale]” dice:
La saggezza dell’incontro generale nel ‘Convegno’ del pellegrinaggio ha tutto il rispetto nella realtà della Umma… Tra i benefici più grandi [del pellegrinaggio] c’è l’incontro del pellegrino con i suoi fratelli da ogni parte del mondo per vivere il sentimento di unità, per apprendere dai sapienti della Umma oltre a tutti gli altri significati che la parola ‘benefici’ porta con sé.
Il pellegrinaggio è uno dei più grandi raduni dell’umanità, una conferenza islamica mondiale che si rinnova annualmente, simile alla preghiera del venerdì, che è una piccola conferenza settimanale. Al pellegrinaggio, milioni di persone ricordano e invocano Dio in decine di lingue diverse e gridano all’unisono ‘Labbayk Allahumma Labbayk [O Dio siamo qui, rispondiamo al Tuo richiamo]’, piangono e si sciolgono nell’amore per il Sovrano dei sovrani, Colui che ha in mano le redini di ogni cosa!
Il pellegrinaggio è una fusione di anime provenienti da ogni angolo del mondo, unite nel loro amore e nella devozione per Dio. Sulla piana di Arafat, nel lancio delle Jamarat, nella circoambulazione attorno alla Ka’aba alla Mecca, nel camminata tra le colline di Safa e Marwa, oppure in visita al maqam del Messaggero di Dio nella Città illuminata di Medina, ho visto persone di ogni origine e nazionalità riunirsi come un’unica famiglia. Vi lascio ora questa lunga e bella descrizione di una di queste scene fatta dallo scienziato, teologo e filosofo egiziano Mustafa Mahmoud nel suo libro “La via alla Kaaba”:
“Il sole cala sulla montagna di Arafat. La piana è coperta di tende…un milione e mezzo di pellegrini si posano su di essa come piccioni in abiti bianchi dell’Ihram…Non riconosci il povero dal ricco…Non riconosci il turco dall’arabo. Le nazionalità sono scomparse…i vestiti distintivi sono scomparsi…le lingue sono scomparse…
… A pochi passi da me, più di sessanta indiani erano riuniti intorno a un mutawif indiano che apparentemente leggeva loro la preghiera araba da un libro nelle sue mani…e loro ripetevano dietro di lui la preghiera piangendo, con le lunghe e folte barbe inzuppate di lacrime. Sicuramente non conoscevano l’arabo, né capivano il significato delle parole che recitavano…ma lo sentivano nei loro cuori e per questo piangevano. Ognuno sentiva che stava parlando con Dio con quelle parole.. che era in presenza di Dio, ospite di Dio, nei Suoi sacri territori…che si trovava dove un tempo si trovava Muhammad, pace e benedizioni su di lui, il grande profeta beduino, povero e analfabeta…Che pregava dove pregava lui, si inchinava dove si inchinava lui, e recitava le stesse preghiere…con la stessa lingua araba…nello stesso giorno…nello stesso venerdì di Dhul-Hijjah…e forse le vibrazioni della voce del Profeta e delle voci dei suoi compagni erano ancora nell’aria intorno a lui…Nulla si distrugge nella natura e nulla si crea di nuovo.”
L’unione del pellegrinaggio trascende per davvero le barriere culturali, linguistiche e sociali, dimostrando che, nel cuore della fede, siamo tutti uguali. Anche se tuttavia l’attuale gestione del pellegrinaggio ha creato delle distinzioni vistose tra pellegrini di serie A e altri di serie B, C o fuori serie, di questo ne parliamo nel prossimo articolo, a Dio piacendo.
Il pellegrinaggio è inoltre un’opportunità per riflettere sulle ingiustizie nel mondo. Durante il mio viaggio, i massacri continui a Gaza e le sofferenze del popolo palestinese erano sempre presenti nella mia mente e nel mio cuore. Nonostante il divieto ufficiale delle autorità saudite di mostrare segni di solidarietà con la Palestina, molti pellegrini trovavano modi silenziosi e discreti per esprimere il loro supporto. È stato toccante vedere come, nonostante le restrizioni, la solidarietà con i palestinesi fosse palpabile tra i pellegrini, manifestata attraverso preghiere silenziose, sguardi di incoraggiamento o gesti di sostegno quando vedevano addosso a me un simbolo palestinese, boicottaggi ai marchi che collaborano con il genocidio, che erano purtroppo dappertutto anche nelle bevande servite ai pellegrini a Mina e Arafat.
Vi riporto qui per non dilungarmi due episodi avuti con due tassisti alla Mecca, il primo era di nazionalità yemenita che mi portava dalla Mecca a Mina per il lancio delle jamarat, egli vedendo addosso a me una kefiah palestinese con la bandiera, mi chiese inizialmente se fossi palestinese e poi mi suggerisce con tono preoccupato di nascondere la sciarpa in quanto è vietato mostrarla qui, esprimendo tutta la sua rabbia per questa situazione. L’altro tassista era Rohingya , proveniva dalla Birmania, il lungo dialogo iniziato dalla Moschea Sacra della Mecca sino al lontano albergo alla Azizia, ci portò a parlare della persecuzione dei musulmani Rohingya in Birmania e dell’abbandono dei regimi musulmani ai loro fratelli e sorelle che soffrono nel mondo, finendo poi per concordare che per aspirare a dare soccorso agli oppressi nel mondo è fondamentale liberare i nostri paesi dal giogo della tirannia che li asfissia.
Il pellegrinaggio quindi non è solo un atto di devozione a Dio, anche se questo resta l’obiettivo primario, ma è anche un’occasione per confrontarsi sui valori universali di giustizia, pace e solidarietà.
In conclusione, confermo che tale viaggio è stato per me un potente promemoria che, al di là delle nostre differenze, condividiamo un’umanità comune e valori universali che ci uniscono. Esso è un’opportunità per riflettere sulla nostra responsabilità di lavorare per un mondo più giusto e solidale, ricordando sempre che la nostra fede ci chiama a essere portatori di pace e giustizia. La solidarietà espressa dai pellegrini verso i palestinesi, nonostante le restrizioni, è un segno tangibile di questa chiamata alla giustizia e alla compassione universale.