La storia narrata dal romanzo Revolutionary Road è la storia di April Johnson e Frank Wheeler, della loro unione, della loro vita. Siamo negli anni cinquanta del secolo scorso, in una periferia abitata da una middle class americana che sta pienamente e compiutamente entrando nel mondo nuovo che la fine della seconda guerra mondiale ha generato – almeno in apparenza – un mondo di pace e di consumi illimitati, un mondo dove, anche se la guerra di Corea è appena terminata, e l’ex alleato sovietico è ora un minaccioso competitore munito di armi nucleari, forse finalmente le armi non canteranno più, e col ritorno della pace, una nuova vita, almeno in apparenza tranquilla, è arrivata.
Nel mondo dove ci porta la lettura di questo capolavoro della letteratura nordamericana del secolo scorso, tutta un’umanità di pendolari ogni mattina lascia la linda casetta nei Suburbs, l’illimitato territorio intorno a New York, per sbarcare nella Grand Central Station, da dove si disperderà in mille rivoli, per essere aspirata all’interno dei grattacieli sede di grandi aziende e dove impiegati e quadri, i mitici colletti bianchi, un esercito uniforme e sterminato che fluttua fra mattino e sera, fra periferia e centro, trascorre lavorando la giornata.
Un esercito di esseri umani in abiti formali come uniformi in tutte le tonalità del grigio; un esercito in giacca, camicia, cravatta, e valigetta in mano, scende ogni mattina dai treni giunti in stazione e si avvia in città. E questa umanità ritorna a casa ogni sera, montando sullo stesso treno che era stato preso al mattino, diretta a Long Island, nel Connecticut, nel New Jersey, in posti così; posti dove, in attesa del loro ritorno, in graziose e linde casette col giardino, vi sono mogli indaffarate a preparar la cena, e magari anche un sostanzioso aperitivo, per il riposo del guerriero.
April e Frank vivono pienamente nella american way of life; la loro casa, come quelle di milioni di altri, sta in un sobborgo periferico non meglio specificato nel romanzo, lontano dal caos della Grande Mela. Anche la loro è una casa graziosa, con un giardino, in mezzo al verde; circondata da altre case terribilmente simili, quando non perfettamente uguali. E’ un posto dove i loro due bambini possono andare a scuola e giocare, frequentare altri bimbi; in una parola, tranquillamente crescere, e anche April e Frank in fondo vi potrebbero trascorrere serenamente la loro vita. E poi il quartiere dove hanno casa ha un nome bello e fascinoso, Revolutionary Road, Strada della Rivoluzione. Che altro desiderare? Ma il cuore umano, dice sant’Agostino, è inquieto.
Frank ed April non sono una coppia come tante altre, o almeno questo fermamente di se stessi credono. Hanno di sé molta considerazione, e come ancora oggi capita a tanti giovani convinti di essere dei perfetti anticonformisti, in realtà sono inevitabilmente un tipico prodotto umano della società che li ha generati.
April e Frank non si sentono una coppia soddisfatta e compiaciuta della loro vita, dei loro inesorabili riti quotidiani. All’inizio della loro avventura matrimoniale forse lo sono stati, ma ora un’indefinibile inquietudine li ha colti.
Lei è il vero motore di questa inquietudine. Negli anni precedenti al matrimonio, aveva coltivato il sogno di diventare un’attrice drammatica. Sogno che si infrange subito dolorosamente già nelle prime pagine del romanzo, pagine che sono uno straordinario capolavoro di realismo psicologico, dove va in scena il disastro artistico e narcisistico della protagonista.
April interpreta il ruolo principale in una catastrofica recita di un’improbabile compagnia di attori dilettanti all’esordio, allestita nel quartiere, che mette in scena spericolatamente, fidando troppo nei propri discutibili talenti artistici, il dramma in due atti, The Petrified Forest di Robert Sherwood.
La pessima recita accolta malgrado tutto con grande generosità, indulgenza e applausi da quel pubblico di borghesucci per cui i protagonisti di questa storia nutrono un indiscutibile altezzoso disprezzo, introduce al romanzo.
Questa giovane coppia ha dei sogni, che diamine. I sogni e le aspirazioni di April passano ad un marito inizialmente titubante. Sempre lei è l’animatrice principale della tempesta psichica che pagina dopo pagina porta al dramma. Perché l’amore di April, l’amore che Frank cerca, è un amore e un’armonia condizionati dalla sua capacità e voglia di accettare i desideri e i progetti esistenziali della moglie.
Sognano infine insieme una vita bohemienne, sognano, è lei ad avere avuto l’idea, Parigi; sognano un posto lontano, un’isola incantata, un Valhalla, dove si parlerà una nuova lingua, dove ci saranno infiniti stimoli di cultura, di poesia, dove tutto sarà meglio e la vita tranquilla ma inguaribilmente monotona e anche un po’ gretta dove il destino li ha posti a vivere si scolorerà nel ricordo. Non li sfiora il pensiero che anche a Parigi la realtà potrebbe rivelarsi mediocre e banale esattamente come quella del posto dove vivono.
In questa storia sarà soprattutto lei, April, l’anima in pena, colei che più aspira ad una vita altra, lei che spingerà un marito in fondo riluttante e fragile – perché a lui la proposta che gli è stata fatta di un avanzamento di carriera nella Knox, l’azienda per cui lavora, in fondo non è per niente dispiaciuta- a seguirla in quel sogno strambo e impossibile del viaggio senza ritorno a Parigi.
Frank Wheeler non è esattamente un moderno Charles Bovary dell’immortale romanzo di Flaubert; non ne possiede la beata, quasi animalesca, innocenza, ma di Charles Bovary ha qualcosa; forse la stessa incapacità di penetrare l’anima tormentata della moglie, e col personaggio di Flaubert, scavata appena la superficie vagamente romantica del suo carattere e un’inquietudine che potrebbe placarsi, condivide in fondo la stessa aspirazione ad una vita semplice, ad affetti certi, ad un’esistenza senza eccessive scosse.
April invece ricorda da vicino madame Bovary, questo personaggio letterario divenuto l’archetipo della donna inquieta, insoddisfatta nel profondo dell’anima; questa eroina moderna votata all’infelicità propria e altrui.
Richard Yates ha accolto e rielaborato nella sua opera il tesoro artistico dei grandi francesi del diciannovesimo secolo. Di Flaubert innanzitutto, a cui deve attualizzandolo in maniera assolutamente originale quell’immortale modello femminile che è Emma Bovary, ma anche di Balzac, di Maupassant, di Stendhal, di Zola. La sua maestria nel raccontarci con estremo realismo e senza indulgenze le tempeste psichiche di una giovane coppia borghese degli anni cinquanta del secolo scorso è davvero straordinaria e degna di quei grandi maestri.
Richard Yates anche se non gode della notorietà di altri scrittori a lui contemporanei come ad esempio Ernest Hemingway o Philip Roth, è forse uno dei più grandi, se non il più grande narratore nordamericano del ventesimo secolo. Il suo romanzo è un capolavoro, un viaggio sentimentale nel mondo psicologico inquieto e complicato di una giovane coppia americana del secolo scorso, un viaggio dell’anima di grande e perfetta forza narrativa.
Da Revolutionary Road è stato tratto con lo stesso titolo un film nel 2009 splendidamente interpretato nel ruolo dei protagonisti principali da Leonardo Di Caprio e Kate Winslet.