Negli ultimi giorni, la CNN è stata al centro di polemiche accese per un articolo che esplora unicamente le difficoltà di salute mentale vissute dai soldati israeliani di ritorno da Gaza. La scelta di raccontare il trauma dei militari israeliani, mettendo in secondo piano le sofferenze della popolazione palestinese, ha scatenato una forte indignazione online e tra esperti di media, diritti umani e studiosi.
Numerosi critici accusano la rete di proporre una narrazione distorta che umanizza i protagonisti delle violenze, suscitando empatia per i soldati mentre ignora o minimizza l’impatto devastante delle loro azioni sui palestinesi. Tra forti reazioni sui social e commenti di figure di rilievo, il dibattito intorno alla responsabilità dei media occidentali nella copertura dei conflitti è stato nuovamente acceso.
La CNN rivela che diversi soldati israeliani di ritorno da Gaza stanno segnalando gravi traumi psicologici. Alcuni, profondamente colpiti dagli orrori di cui sono stati carnefici, si sono tolti la vita. Le loro testimonianze rivelano la brutale realtà dell’assalto israeliano a Gaza e l’impatto mentale che la violenza infligge anche su coloro che la perpetrano.
Nelle interviste rilasciate alla CNN, i soldati raccontano la brutalità delle loro operazioni a Gaza, descrivendo situazioni in cui si sono trovati ad “affrontare” palestinesi, vivi o morti, in numero impressionante. Diversi di loro, ad esempio, hanno affermato di non essere più in grado di mangiare carne, poiché la sola vista risveglia ricordi traumatici delle scene viste sul campo.
“Quando vedi carne sparsa e sangue… sia nostro che loro, tutto cambia quando mangi”, ha raccontato un soldato.
Tra le varie storie che hanno sollevato polemiche, c’è quella di Eliran Mizrahi, un riservista quarantenne che si è tolto la vita dopo il ritorno da Gaza. Mizrahi aveva trascorso 186 giorni alla guida di un bulldozer D-9, un veicolo blindato da 62 tonnellate progettato per resistere a esplosivi e proiettili. Il suo amico e copilota, Guy Zaken, ha ricordato la loro esperienza a Gaza, definendola “molto, molto difficile da superare”. Prima di suicidarsi, Mizrahi soffriva di gravi sintomi da disturbo post-traumatico da stress (PTSD), tra cui attacchi di rabbia, insonnia e isolamento sociale. La sua famiglia ha riferito che spesso ripeteva che solo chi aveva servito al suo fianco poteva comprendere veramente ciò a cui aveva assistito.
“Ha visto morire molte persone”, ha detto sua madre. “Forse ha persino ucciso qualcuno.”
Si dice che l’esercito israeliano stia affrontando una crisi di salute mentale senza precedenti. Secondo la divisione di riabilitazione del Ministero della Difesa israeliano, ogni mese vengono rimossi dal combattimento circa 1.000 soldati, e il 35 percento di loro riporta problemi di salute mentale. Si stima che entro la fine dell’anno, 14.000 soldati richiederanno assistenza, con il 40 percento che dovrà affrontare problematiche psicologiche.
In Israele, la crisi dei suicidi non colpisce solo l’esercito. Ogni anno oltre 500 persone muoiono per suicidio e più di 6.000 tentano di togliersi la vita. Il Ministero della Salute israeliano riconosce che queste cifre sono probabilmente sottostimate di circa il 23 percento, suggerendo che il problema sia ancora più grave. Nel solo esercito, il suicidio è stato la principale causa di morte tra i soldati nel 2021, con almeno 11 vittime in quell’anno.
Crediti immagine copertina: Edi Israel/Flash90