Trump ha presentato qualche giorno fa il suo piano di pace per Israele e Palestina di fronte a delegati diplomatici da paesi arabi quali Bahrain e Emirati, e rappresentati di Stato israeliani. I pochi dettagli dati da Trump sul cosiddetto “patto del secolo”, nel caso in cui i palestinesi decidano di firmare, hanno incluso il riconoscimento di uno Stato di Palestina; il riconoscimento di Gerusalemme come capitale di Israele “garantendo” l’accesso alle aree religiose a musulmani, cristiani ed ebrei con il mantenimento dello status quo.
Sia Trump che Netanyahu hanno elogiato il piano di pace come la soluzione ultima per risolvere il conflitto israelo-palestinese entrambi citando vari passaggi biblici. La proposta prevede anche un piano di investimenti economici per il bantustan palestinese pari a 50 miliardi di dollari, soldi che alcuni dicono che in ogni caso non arriverebbero mai.
Netanyahu ha ricordato alcuni punti chiave del piano quali il disarmo di Hamas, la demilitarizzazione di Gaza, e il rafforzamento del confine orientale di Israele. Netanyahu e Trump hanno anche parlato molto dell’importanza di garantire la sicurezza di Israele. Trump ha anche ricordato che i leader Palestinesi hanno 4 anni per valutare il piano. Netanyahu ha elogiato anche il genero Jared Kushner, braccio destro di Trump ed una delle menti dietro l’elaborazione del piano.
I dettagli del piano dovranno essere ancora analizzati dagli esperti e soprattutto dai palestinesi, nessuno dei quali è stato presente alla presentazione del piano. I punti dubbiosi per i palestinesi furono già chiariti durante la presentazione della parte economica del piano di qualche mese fa. I palestinesi sottolinearono allora l’importanza di avere condizioni politiche soddisfacenti senza le quali la componente economica avrebbe perso ogni valore.
Un presagio delle risposte che riceverà il piano è dato già dall’assenza di rappresentati palestinesi alla presentazione del piano. Nessun vero patto infatti può dirsi equo se al tavolo dei negoziati manca uno dei contraenti. Un patto di pace fra Israele e Palestina non può essere ideato senza che al tavolo vi siano anche i palestinesi.
Trump ha anticipato il quasi sicuro bisogno di negoziare i termini del piano. Come andranno queste negoziazioni e se ci saranno, lo dirà solo il tempo.
Il rifiuto dei palestinesi e perché:
Nel frattempo, il presidente palestinese Mahmoud Abbas ha dato una prima risposta al piano di Trump, rigettandolo e dicendo che “Gerusalemme non è in vendita, tutti i nostri diritti non sono i vendita o negoziabili”.
In un articolo di analisi pubblicato da Foreign Policy, il politologo Elgindy definisce il piano di Trump come un “cavallo di Troia” le cui reali intenzioni sono quelle di rendere l’occupazione israeliana permanente riconoscendo i territori illegalmente occupati parte dello status quo. Inoltre il piano vuole normalizzare una situazione di illegalità obbligando i palestinesi a riconoscere le colonie illegali.
Il piano, afferma Elgindy, soddisfa una lunga lista di interessi della destra israeliana su temi chiave come il controllo di una Gerusalemme unita e non condivisa, l’annessione dei territori occupati e l’eliminazione di qualsiasi diritto dei rifugiati palestinesi. Il nuovo Stato palestinese sarebbe in realtà privo di ogni reale sovranità, una sorta di Bantustan dipendente totalmente dagli “umori” israeliani insomma.
Più che uno Stato, la mappa del piano presenta un arcipelago le cui “isole” sono circondate e connesse da piccole strade e passaggi totalmente sommersi geopoliticamente dai territori israeliani. Fra Israele ed Palestine dunque la “continuità territoriale” spetterebbe solo ai primi, mentre ai secondi viene imposta una timida ed ingiusta “continuitò di trasporto”. I palestinesi d’altro canto hanno insistito sul delineare dei confini basati sul cessate il fuoco i quali separavano Israele e Gerusalemme Est, la West Bank e Gaza fra il 1949 e il 1967 (linea tratteggiata in rosso della mappa sopra).
Infine, il piano prevede di evacuare alcune aree in territorio israeliano con un’alta densità di palestinesi e renderle parte della nuova Palestina, quest’ultima un’idea promossa dagli israeliani di estrema destra i quali mirano a “ridurre il numero di non ebrei che vivono in Israele” dice Elgindy.
Gerusalemme rimarrebbe unita e sotto il controllo israeliano e ai palestinesi verrebbe concesso di istituire una “capitale” vicino alla città di Gerusalemme ma non dentro ovviamente. Per quanto riguarda i rifugiati palestinesi il piano è chiaro: non è previsto “nessun diritto al ritorno e nessun assorbimento di nessun palestinese nello Stato di Israele”. Ai rifugiati il piano lascia tre opzioni, essere totalmente “integrati” in Israele; andare in un paese terzo; o andare nella nuova entità palestinese.
Le reazioni in Europa
La reazione italiana al piano, ad eccezione di qualche outlet mediatico poco indipendente, è stata in linea con quella dell’UE: freddezza e scetticismo. Repubblica riporta che Marina Sereni, vice-ministra degli Esteri, sostiene che “il piano di Trump deve essere valutato con attenzione. È necessario favorire la ripresa del processo politico e del negoziato tra palestinesi e israeliani sulla base del principio ‘due stati per due popoli’ e con Gerusalemme capitale condivisa”.
Per il nuovo Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza Joseph Borrell il piano di Trump dona almeno “l’occasione per rilanciare gli sforzi per una soluzione negoziata che assicuri la pace duratura”. Ricordando poi che per la UE una reale soluzione deve includere l’idea di due Stati attraverso “una soluzione negoziata e praticabile capace di tenere conto le legittime aspirazioni di entrambe le parti: i palestinesi e gli israeliani.”
L’editore capo di Middle East Eye, David Hearst ha commentato il piano ricordando come esso consideri legittima l’occupazione illegale e che il patto non è altro che un tentativo di pagare i palestinesi “un sacco di soldi per stare in silenzio; per accettare la presenza militare israeliana nella valle del Giordano; per accettare che Israele avrà il controllo di Gerusalemme.” Hearst ricorda che il patto prevede negoziazioni ma che queste dovranno partire da una base che include i territori illegalmente occupati. Mahmoud Abbas ha ben riassunto i problemi del piano quando ha ricordato: Hanno preso Gerusalemme, e i territori occupati, hanno eliminato la questione dei rifugiati, hanno detto legittimità alle colonie e hanno detto che le nostre terre non sono più occupate, quindi cosa ci rimane? Io dico che vogliono deriderci usando quello che ci è rimasto. Io dico che non c’è nulla che possano offrirci.”
Hearst ricorda che il patto è più simile ad una minaccia mafiosa costruita intorno ad un discorso di fanatismo religioso con i vari riferimenti biblici per giustificare l’occupazione. Hearst conclude la sua analisi ricordando l’ovvio: che il vero scopo di questo patto è quello di bypassare la comunità internazionale e convincere i palestinesi ad accettare per “cementificare l’occupazione per sempre.”
L’ONU ha già chiarito che l’occupazione israeliana è oggettivamente un caso di apartheid. Dire il contrario significherebbe giustificare una potenziale escalation da parte di Israele che potrebbe così usare la scusa di quel “patto della pace rifiutato dai palestinesi” come pretesto per legittimare ulteriori violenze ed aggressioni. La comunità internazionale e chi ha studiato i dettagli del piano l’hanno ben capito.
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