Le autorità italiane hanno trovato 14 tonnellate di compresse di Captagon e hanno accusato l’ISIS di aver prodotto ed esportato questo carico di droga- ma è vero? Un articolo pubblicato sull’autorevole settimanale tedesco Der Spiegel punta il dito contro il regime di Assad.
Le scene del video di tre minuti e mezzo della guardia di finanza napoletana sono così perfette che sembrano uscire da un narco-thriller: gli uomini maneggiano ingranaggi d’acciaio grandi come loro, rulli di carta larghi un metro, e le pillole della droga si riversano a pioggia e scorrono, scorrono e scorrono. La video-carrellata va sul bottino finale di dozzine di contenitori di compresse di Captagon, il nome commerciale delle droghe sintetiche più popolari.
Un grandissimo successo. Una quantità così grande da poter rifornire l’intera Europa: “In ogni caso non sarebbe stata destinata alla sola Italia”, ha detto mercoledì il colonnello Domenico Napolitano, capo della Guardia di Finanza e responsabile dell’operazione.
I giganteschi rotoli di carta e le ruote dentate erano arrivate dalla Siria in tre container, con le compresse così ben nascoste da non essere rilevate nemmeno con la radiografia. Non dovevano assolutamente essere scoperte, perché, secondo alcune telefonate intercettate della Camorra, una spedizione molto più piccola di droga era già stata effettuata circa due settimane prima con una modalità simile per lo stesso destinatario ufficiale, una ditta con sede nella città svizzera di Lugano. Le circa 2,8 tonnellate di haschisch e un milione di pillole di Captagon, 190 kg, erano state con tutta probabilità un test per verificare che la via fosse sicura. Evidentemente i mittenti si erano a lungo illusi di essere al sicuro.
Su richiesta del procuratore antimafia di Napoli, i tre container sequestrati sono stati portati in una stazione di polizia attrezzata con apparecchiature adeguate. I primi due rulli su 40 erano vuoti, ma presto il tesoro è stato scoperto.
La politica italiana ha elogiato gli investigatori
Lo stesso primo ministro Giuseppe Conte si è congratulato con gli investigatori e ha dichiarato: “un duro colpo al terrorismo e una dimostrazione che l’Italia è sempre allerta”. Il ministro dell’interno Luciana Lamorgese è stata più precisa: “l’operazione antidroga portata a termine nelle ultime ore ha messo in mostra il massimo livello di impegno nella lotta contro le reti criminali dedicate al commercio e alla vendita degli stupefacenti.”
Per quanto riguarda i destinatari, un’ipotesi senz’altro corretta, ma in quanto al presunto mittente c’è molto da dire: “Prodotto in Siria dall’ISIS per il finanziamento del terrorismo” era il titolo del comunicato stampa degli investigatori, diventato virale in tutto il mondo.
Le pillole di Captagon confiscate recavano il logo di due mezzelune, lo stesso delle pillole dei combattenti dell’Isis. Il Captagon è altresì noto come la “droga del jihadista.”
La CNN e i media di tutto il mondo hanno diffuso la versione ufficiale sulla droga dei terroristi, i grandi quotidiani italiani come La Stampa hanno accompagnato i loro articoli con immagini di feroci guerrieri dell’ISIS.
In Italia solo Daniele Ranieri, il giornalista del Foglio esperto di Medio Oriente si chiedeva “Che cosa ha spinto le autorità italiane a presentare l’Isis come un cartello della droga?” L’Isis in effetti commette un’ampia gamme di reati ma produzione di droga su scala industriale non rientra fra le sue specialità.
Gli ultimi sparuti combattenti dell’Isis si trovano nel deserto fra la Siria e l’Iraq, nascosti nel sottosuolo, lontano dalle città e soprattutto da qualsiasi porto di mare.
Invece, da quanto risulta dai documenti, il territorio di provenienza della gigantesca quantità di Captagon, appare molto chiaramente: le 14 tonnellate sequestrate costituivano la più grande, ma non l’unica consegna proveniente dal porto siriano di Latakia confiscata negli ultimi dodici mesi:
Lo scorso luglio la polizia greca aveva sequestrato 5,25 tonnellate di Captagon, fino a quel momento il sequestro più importante nel mondo.
A Dubai lo scorso febbraio ci sono stati due sequestri di 5,6 tonnellate di Captagon.
Ad aprile i doganieri egiziani hanno trovato quattro tonnellate di haschisch, anch’esse provenienti da Latakia, sistemate in confezioni di Tetrapack per il latte di una società appartenente al cugino del dittatore siriano Bashar Assad, Rami Machluf.
Nello stesso mese infine I funzionari sauditi trovarono in due distinte spedizioni 44,7 milioni di pillole di Captagon, di cui quasi la metà confezionate come Tè-Mate. Il tè fatto con le foglie di un arbusto sudamericano e popolare fra gli alawiti siriani, la minoranza religiosa, alla quale appartiene il clan Assad. Anche in questo caso, il produttore nominale Yabour, strettamente collegato con il fratello del presidente e comandante militare Maher al-Assad, si è lamentato dell’uso improprio della confezione.
Sempre lo stesso Captagon, sempre alla stessa maniera nascosto ingegnosamente in grosse quantità e sempre proveniente da Latakia.
L’attività più redditizia della famiglia Assad
Anche questa volta, secondo un’inchiesta di Spiegel l’ampia rete parentale del clan Assad stava dietro alla produzione e alla spedizione della droga:
Nel villaggio di al-Basa, a sud di Latakia, Samer Kamal Assad, uno zio del dittatore, gestisce una delle numerose fabbriche di Captagon di proprietà della famiglia fatta passare come produttrice di materiale di imballaggio.
Del trasporto si è occupato l’uomo d’affari Abdellatif Hamide, che poche settimane fa ha aperto ad Aleppo una fabbrica di rulli di carta- un indirizzo “pulito”, non ancora incluso nelle liste della UE o degli Stati Uniti.
Proprio lì sono fabbricati i rulli per nascondere le pillole di Captagon.
Per il trasporto sono stati noleggiati tre container della compagnia di navigazione italiana Tarros, che serve con regolarità diversi porti del Mediterraneo.
Il porto di Latakia è ancor oggi sotto il controllo della famiglia Assad, il cui villaggio natale si trova nelle vicinanze.
Lo scorso autunno il porto è stato dato in affitto all’Iran, la cui alleata milizia libanese Hezbollah ha fornito Know-How e attrezzature chimiche per le prime fasi della produzione di droghe in Siria.
Quantomeno l’esistenza del cartello della droga siriano di proprietà della famiglia Assad non poteva essere ignoto alle autorità italiane.
Ma allora perché dare la colpa allo Stato Islamico? Sorge il sospetto che il governo italiano, che ancora oggi importa fosfato dalla Siria e il cui precedente governo nel marzo del 2018 ha lasciato discretamente volare a una riunione del governo il capo del servizio segreto siriano Ali Mamluk su un jet privato, non voglia turbare le sue relazioni con Damasco.
La Guardia di Finanza ha risposto alle domande sulle prove che non aveva niente da aggiungere. Il resto è oggetto di un’indagine in corso, ha affermato il colonnello Giuseppe Furciniti. La società di spedizioni Tarros non ha risposto alla richiesta di chiarimenti di Spiegel.
Di fatto il responsabile capo della Guardia di Finanza Napolitano ha ammesso di non avere prove circa le informazioni relative al consumo di Captagon da parte dello Stato Islamico.