Noi musulmani italiani soffriamo il fenomeno dei “cattomusulmani”. Taluni, non pochissimi invero, hanno dell’Islam una visione edulcorata, irenista e considerano qualsiasi pensiero o movimento, accadimento, manifestazione di fierezza musulmana, al pari di una dichiarazione di guerra nei confronti di tutti gli altri.
In Italia abbiamo figure politiche e ideologie assolutamente atipiche rispetto al resto dell’Occidente.
Nella seconda metà del 900 abbiamo avuto i cattocomunisti, non un vero e proprio movimento, ma persone che pur mantenendo la fede nel cattolicesimo avevano abbracciato la causa dell’eurocomunismo, quello di Berlinguer e di pochi altri esponenti della tendenza marxista in Europa occidentale.
Insomma intellettuali perlopiù, in quanto non ebbero la capacità o la volontà di creare una vera corrente all’interno dell’allora PCI, spesso gente di spessore , che si ricollegavano in qualche maniera anche alla teologia della liberazione poi stroncata da Wojtyla e Ratzinger.
Roba dell’altro secolo, ma abbiamo voluto ricordarlo perché, Paese degli ossimori come siamo, quello delle famose convergenze parallele che qualcuno dei più vecchi ricorderà, e poi molto più recentemente degli atei-devoti (questi certamente meno nobili e fortemente strumentali nel loro attaccamento para isterico ai simboli in cui di fatto non credono) in questo Paese dicevo, non ci siamo sottratti al fenomeno.
Noi musulmani italiani soffriamo il fenomeno dei “cattomuslim”. Lungi da me giudicare la fede delle persone, o escluderle dalla fratellanza, non mi permetterei mai, e tuttavia mi sento di poter ravvisare nel pensiero, e nel comportamento di taluni di noi, un’impostazione fortemente “cattolica“, a nostro avviso impropria e perdente. A fronte dell’adesione ai principi dottrinali ineludibili per dichiararsi musulmani, assistiamo a prese di posizione e atteggiamenti che ben poco hanno a che fare con quella che è la rivelazione fondante della nostra fede e con la tradizione del profeta Muhammad (pbsl).
Taluni, non pochissimi invero, e tra loro parecchi convertiti e giovani di seconda generazione, con una netta predominanza femminile, hanno dell’Islam una visione edulcorata, irenista e considerano qualsiasi pensiero o movimento, accadimento, manifestazione di fierezza musulmana, di rivendicazione di una identità non negoziabile, al pari di una dichiarazione di guerra nei confronti di tutti gli altri.
Qualcosa che ricadrebbe inevitabilmente anche su di loro, sulle loro famiglie e metterebbe a rischio una convivenza per la quale si sono impegnati, nella speranza di essere tollerati, grazie al loro basso profilo, un’autolimitazione della loro identità di cittadini o residenti, non fidandosi di fatti delle garanzie costituzionali e del rispetto dei diritti umani di cui l’Unione Europea si fa a paladina (spesso senza alcun merito).
Complici anche vent’anni e più di “dialogo” improprio e le 1000 occasioni nelle quali i musulmani si sono sentiti tutti sotto accusa e hanno creduto utile doversi svenare per dimostrare la loro distanza da qualsiasi fatto criminoso e/o minaccia terroristica, reale o presunta che coinvolgesse individui con nomi della nostra tradizione.
Hanno accettato tutto, al limite dell’apostasia, pur di non far parte dei cattivi. Hanno “criticato” i fondamenti della shari’a , senza neppure comprenderne i maqasid (gli obiettivi) senza conoscere la storia e l’evoluzione della giurisprudenza islamica e senza una visione complessiva di quella che è la funzione dell’Islam nella storia umana.
C’è una versetto del Corano che ci mette inequivocabilmente a confronto con la nostra responsabilità di credenti in quanto individui e facenti parte di una umma ( comunità di credenti).
Nella sura la Famiglia di ‘Imran sono rivelate parole che possono essere tradotte in questo modo:
“Voi siete la migliore comunità che sia stata suscitata per gli uomini, raccomandate le buone consuetudini e proibite ciò che è riprovevole e credete in Dio” (Corano III, 110)
Abbiamo recentemente migliorato la traduzione di questo versetto nella parte che in origine avevamo reso con “tra gli uomini” scrivendo “per gli uomini” e cioè per le genti.
È infatti un’assunzione di responsabilità a cui il Corano ci chiama: la pienezza della cura del creato ed in particolare dell’umanità che Allah vi ha posto.
Nessuna superbia ci è permessa, la tenerezza è condizione irrinunciabile della cura, non è possibile aver davvero a cuore i cuori senza amore, capacità e disponibilità al di sacrificio di sé.Al contempo per poter assumersi questo onore e onere, la consapevolezza della funzione è ineludibile e lo è anche la pienezza della nostra identità spirituale e morale.
La società liquida di cui parla Bauman è il prodotto di una crisi profonda delle ideologie, del concetto di comunità, di Stato-Nazione, con il corollario di una spinta estrema ad un individualismo fittizio nel quale ogni singolo è convinto di fare quello che vuole ma in realtà non fa altro che ciò che le grandi holding finanziarie e industriali hanno stabilito che faccia: come si deve vestire, cosa deve mangiare e bere, come deve curarsi, in definitiva cosa deve pensare.
La nostra concezione della vita è diametralmente opposta.
Franco Battiato cantava già quarant’anni fa: “Cerco un centro di gravità permanente, che non mi faccia mai cambiare idea sulle cose sulla gente…”
Quel centro permanente è l’Islàm e noi musulmani dovremmo essere coloro che lo vivono al meglio delle loro capacità, per loro stessi e i loro vicini, e oggi tutta l’umanità è nostro vicino.
È un servizio che dobbiamo rendere al creato, noi che siamo “per l’umanità”, per questo siamo stati creati. Una storia che inizia con un peccato di orgoglio, con una disobbedienza e che si concluderà, quando Dio vorrà, con il trionfo del Mahdi.
E intanto, ché di escatologia non vive la quotidianità, anche se essa orienta la nostra azione, ogni giorno e in ogni luogo e circostanza dobbiamo essere degni della niyyama (la grazia) che Allah ci ha concesso perché saremo noi a sopportare l’urto immane del Dajjal (l’Anticristo) e contrastarlo in noi e nel creato… con la fierezza verso i potenti e tenerezza per i deboli, la lucidità e la perseveranza essere tra coloro che “credono e vicendevolmente si invitano alla costanza e vicendevolmente si invitano alla misericordia”. (Corano Al Balad XC, 17)