Il 20 e il 21 settembre 2020 gli Italiani saranno chiamati a votare per il Referendum Costituzionale sulla riduzione del numero dei parlamentari di Camera e Senato.
La riforma, approvata dal Parlamento stesso, prevede la riduzione del numero dei Deputati da 630 a 400 e dei Senatori da 315 a 200. Utile premessa è che tale proposta non va a modificare la carta originaria del 1946, bensì la Riforma del 1963 voluta dalla Democrazia cristiana, che stabilì l’attuale numero.
Si può ragionevolmente ritenere che il “Sì” a questa riforma abbia molteplici motivazioni, dal miglioramento degli organi istituzionali interessati, con un impatto sull’immagine del paese, alla possibilità di creare un’occasione di avvio di riforme in senso positivo.
La riduzione dei parlamentari non inficerà la funzionalità del Parlamento che rimarrà sempre Sovrano, detentore unico del potere legislativo. Un numero ridotto di eletti costringerà i partiti/movimenti a selezionare meglio i propri candidati, evitando di presentare soggetti che si distinguerebbero solo per il loro assenteismo. Peraltro, già oggi assistiamo ad un parlamento di fatto ridotto dal momento che il partito degli assenti è sempre più esteso.
Un Parlamento numericamente più ristretto diventerebbe più visibile per cittadini e più controllabile. Commissioni ridotte non potrebbero che aumentare l’efficienza, così come i gruppi parlamentari. La riduzione comporterebbe poi un risparmio sul bilancio del parlamento, quindi sui costi della politica.
Il numero stesso dei parlamentari risulterebbe adeguato, proporzionato rispetto alla popolazione e perfettamente nella media con le camere elettive delle principali democrazie europee.
La vittoria del “Sì” potrebbe poi dare il via ad una serie di riforme in senso positivo, tanto auspicate. Infatti, l’eventuale successo obbligherebbe l’attuale parlamento a ridisegnare i collegi e ad approvare una nuova legge elettorale, con la possibilità e speranza della reintroduzione delle preferenze.
Una vittoria del No, invece, lascerebbe tutto così com’è.
Al contrario, la vittoria del “sì”, sarebbe certamente un buon inizio per migliorare la nostra Costituzione nel rispetto della volontà degli Italiani che, già in passato, hanno dato ampia dimostrazione di non essere disposti ad accettare stravolgimenti della Carta costituzionale.
Ne sono prova le due sonore bocciature delle riforme (per così dire) Berlusconi-Lega del 2006 e di Renzi del 2016. Gli Italiani, infatti, sono più inclini a piccole modifiche per tema, che siano comprensibili e che effettivamente apportino un miglioramento della funzionalità istituzionale. Da qualche parte bisognerà pur cominciare! Un susseguirsi di altre modifiche sarebbero poi auspicabili e difficilmente attuabili in caso di sconfitta. Un esempio tra tutti potrebbe essere il superamento del Bicameralismo paritario che purtroppo risulta ridondante.
Votare “sì” rappresenta un’occasione unica per dare un forte segnale alla classe politica, specie in questi ultimi anni in cui il tema degli sprechi della casta è stato molto acceso e in cui le continue richieste di sacrifici ai soli cittadini, non agevolavano l’immagine della classe politica.
La riforma votata dallo stesso parlamento costituisce il primo segnale di sobrietà e sacrificio da parte della classe politica. Una sconfessione da parte degli Italiani lancerebbe un pessimo segnale alla classe politica che potrebbe addirittura essere utilizzato da parte di essa per cose peggiorative quali il ripristino dei vitalizi dei parlamentari o l’incremento a dismisura dei senatori a vita.
Per chi ritiene che la Nostra Costituzione sia solo da migliorare, questa è l’occasione giusta per dare inizio a questo percorso. Abbiamo una grande occasione a portata di mano. Non possiamo lasciarcela sfuggire.