Questo giornale festeggia un anno di vita ed è una buona notizia. Per tutti. Per quanti su di esso hanno scommesso, contribuendo in vario modo alla sua nascita, al suo consolidamento e alla sua produzione quotidiana. Per la comunità dei musulmani che vivono in Italia o che comunque l’italiano parlano e leggono. E per tutti coloro, musulmani e non, che in questo paese risiedono.
Se ogni nuovo quotidiano, in principio, contribuisce al pluralismo dell’informazione, questo vale in modo particolare per un quotidiano – unico nel suo genere – di ispirazione musulmana che alla visione dell’islam fa esplicito riferimento. Esso riempie anzitutto un vuoto.
Non solo perché l’islam è la seconda religione del paese, non solo perché esso conta 2,6 milioni di credenti, di cui il 40% italiani. Ma anche perché dell’islam, nello spazio pubblico e mediatico, si parla oggi in proporzione assai maggiore di quanto giustificherebbe il suo pur cospicuo numero di aderenti.
Questo significa che l’islam in Italia, oggi, costituisce una presenza che si deve valutare in termini non solo quantitativi ma qualitativi, per il suo impatto, in termini di valori e di pratiche, sulla vita politica ed economica, sociale e culturale del paese.
Certo, ben sappiamo che questo a qualcuno dispiace. Eppure un giornale è insieme un contributo alla democrazia e un invito al dialogo. Chi fonda un giornale nell’ambito della normativa italiana sulla stampa mostra di riconoscere che in questo paese esiste – sia pure in modo imperfetto come ogni cosa umana – la libertà di informazione e di considerarla un bene prezioso.
Mostra fiducia in alcune istituzioni fondamentali come quelle che regolano la “sfera pubblica” – un termine tecnico con il quale si indicano tutti gli spazi in cui si forma l’opinione pubblica – e ne garantiscono i diritti. Si propone di contribuire a completare l’informazione laddove essa è carente, di presentare posizioni nuove, storie diverse da quelle consuete, proposte alternative – in altri termini di produrre cambiamento e innovazione.
E lo fa in modo trasparente, aperto al controllo esterno e alla critica. I suoi pezzi sono firmati, scaricabili, archiviati.
Uno può leggerli con calma, rifletterci, controllarne l’esattezza, chiamarne in causa l’autore. I pezzi non firmati sono comunque riconducibili alla responsabilità collettiva della redazione. E soprattutto, di ogni riga pubblicata sul giornale si assume la responsabilità colui che si chiama, appunto, “direttore responsabile”: colui che di fronte alla legge risponde con la sua persona e con i suoi beni di un cattivo uso della libertà d’informazione.
Parla esplicitamente dall’interno della comunità ma si rivolge, altrettanto esplicitamente, a tutti: alla umma, anch’essa pluralista e articolata, e ai non musulmani che in modo regolare o saltuario sentono il bisogno di informarsi sulla vita politica e culturale del proprio paese.
In questo senso il giornale – come ogni quotidiano – rappresenta una alternativa alla pseudo-informazione dei social network, che sono strumenti utilissimi per tanti aspetti della nostra vita ma che non possono aspirare allo status di “spazio pubblico” in cui si forma una opinione pubblica qualificata e autorevole.
E invece da un lato fratelli e sorelle si sono abituati nel tempo a fare affidamento su di essi a fronte di un panorama mediatico intriso di pregiudizi e ostilità nei loro confronti; dall’altro gli operatori dei media si sono sentiti giustificati ad attingere alla rinfusa, per parlare dei musulmani, a post su facebook – oltre che a prediche di imam e dichiarazioni di fedeli intervistati al volo davanti alle moschee – per produrre i soliti racconti che il pubblico vuole sentire.
Questo giornale è dunque una sfida ad un confronto aperto, basato sugli argomenti e non sugli slogan, aspro magari ma pur sempre nella cornice di una volontà di conoscere e di una volontà di intendersi tra tutti quelli che vi partecipano con animo sincero.