Dall’impunità alla giustizia: come comprendere le cause e gli effetti dell’alleanza USA-Israele

L’impunità di Israele dipende dall’impegno degli Stati Uniti a esercitare un’influenza dominante nella regione. Se questa strategia imperiale dovesse essere abbandonata o riorientata, non solo il supporto militare e diplomatico verso Israele verrebbe meno, ma l’intero impianto ideologico e politico su cui si fonda l’alleanza si sgretolerebbe, lasciando Israele vulnerabile alle pressioni internazionali, economiche e politiche a cui oggi è in larga parte immune.

 

Dall’inizio del genocidio a Gaza per mano di Israele, molti si sono chiesti come sia possibile che il regime sionista goda di una tale impunità. La spiegazione più comune, offerta da numerosi analisti, è che Israele rappresenti la “zampa coloniale” degli Stati Uniti in Medio Oriente, garantendo agli interessi americani un avamposto stabile e militarmente avanzato in una regione altamente strategica. Tuttavia, questo approccio solleva ulteriori domande: da dove proviene il potere dell’AIPAC, il potente gruppo di pressione pro-Israele che esercita un’influenza decisiva sulla politica estera statunitense? Molti sostengono che tale influenza derivi dal potere economico, ma qual è l’origine di questo denaro e di questa influenza? Alcuni puntano il dito su potenti famiglie, come i Rothschild, che hanno avuto un ruolo chiave nella creazione dell’entità israeliana. Per comprendere realmente la causa principale dell’impunità di Israele e della sua influenza negli Stati Uniti, è necessario un approccio più approfondito, che vada oltre le semplici spiegazioni superficiali. Questa analisi intende esplorare le radici profonde di tale impunità, analizzando i fattori geopolitici, economici, ideologici e religiosi che sostengono l’alleanza tra Israele e gli Stati Uniti per cogliere le reali motivazioni che permettono a Israele di mantenere una posizione privilegiata e, spesso, immune da conseguenze internazionali.

Dagli interessi coloniali al complesso militare israeliano
Il motivo principale per cui il regime israeliano gode dell’impunità, soprattutto nei suoi rapporti con la Palestina e con gli Stati vicini, è che Israele funge da risorsa strategica per gli interessi statunitensi in Medio Oriente. Dalla sua fondazione nel 1948, Israele ha agito come alleato chiave degli Stati Uniti in una regione geopoliticamente sensibile e ricca di risorse petrolifere.

Durante la Guerra Fredda, Israele ha svolto un ruolo di baluardo contro l’influenza sovietica in Medio Oriente. Anche dopo la Guerra Fredda, Israele rimane una pietra miliare dell’egemonia statunitense nella regione, garantendo l’influenza americana sulle rotte petrolifere, controbilanciando avversari come l’Iran e contenendo i movimenti nazionalisti o islamici che potrebbero minacciare i clienti o gli interessi degli Stati Uniti. Questa connessione tra USA e Israele è portata da avanti dai gruppi di lobby sionista come l’AIPAC.

L’AIPAC (American Israel Public Affairs Committee) e altri gruppi di pressione pro-Israele esercitano infatti una notevole influenza sui politici e sulle politiche statunitensi. Ciò avviene in gran parte attraverso donazioni politiche, attività di lobbying e di advocacy che allineano la politica estera degli Stati Uniti agli interessi israeliani.

Tuttavia, il potere dell’AIPAC non è assoluto, né è una causa principale di per sé. L’AIPAC è efficace perché opera in un sistema politico in cui il denaro e le lobby hanno un impatto sproporzionato sulla definizione delle politiche. Questo si allinea con i più ampi interessi geopolitici degli Stati Uniti nella regione, rendendo il rapporto reciprocamente rafforzativo. Si tratta di una relazione simbiotica tra l’élite politica statunitense e gli interessi pro-Israele, piuttosto che di un singolo gruppo che manipola l’intero sistema.

Il sostegno sionista a Israele si basa su un supporto sia ideologico che finanziario, spesso sostenuto da individui e organizzazioni facoltose con profondi legami con Israele. Questo include certamente famiglie come i Rothschild, che hanno avuto un ruolo nella creazione e nel sostegno finanziario dei primi insediamenti sionisti, ma attribuire il potere israeliano esclusivamente a una singola famiglia o rete semplificherebbe eccessivamente la situazione.

Il coinvolgimento dei Rothschild nella creazione di Israele è un fatto storico – il barone Edmond de Rothschild, ad esempio, finanziò le prime colonie agricole sioniste in Palestina – ma non è la radice del problema. Il potere di Israele oggi infatti si basa su una base economica, militare e geopolitica molto più ampia.

Una fonte significativa del potere di Israele deriva direttamente dagli aiuti militari ed economici degli Stati Uniti. Gli Stati Uniti hanno fornito a Israele centinaia di miliardi di dollari in aiuti dal 1948, rendendo Israele il più grande beneficiario cumulativo degli aiuti esteri statunitensi. Questo sostegno militare e tecnologico assicura a Israele un vantaggio militare qualitativo rispetto ai suoi vicini.

La motivazione di questi aiuti è spesso espressa in termini morali o storici (ad esempio, l’Olocausto), ma è al servizio degli interessi strategici degli Stati Uniti. Israele fornisce intelligence militare, agisce come potenza regionale per controbilanciare gli avversari e protegge gli interessi statunitensi in una regione instabile.

Israele stesso ha sviluppato una solida economia, in particolare nelle industrie tecnologiche e della difesa, che ne accresce ulteriormente l’importanza strategica per gli Stati Uniti e per i mercati globali. L’industria israeliana degli armamenti è un importante esportatore globale e il suo settore tecnologico (soprattutto quello della sicurezza informatica) è in linea con i più ampi interessi di sicurezza degli Stati Uniti.

Questo potere economico permette a Israele di mantenere un livello di autonomia e di influenza nei rapporti con gli Stati Uniti che dunque non deriva esclusivamente da benefattori storici come i Rothschild.

Alla base dell’impunità di Israele c’è anche l’ideologia storica del sionismo, sostenuta da varie potenze occidentali, tra cui la Gran Bretagna con la Dichiarazione Balfour del 1917. Il sionismo, in quanto progetto coloniale, si inseriva bene nei più ampi interessi imperiali di mantenimento del controllo nella regione.

Nel corso del tempo, questo si è evoluto in un’alleanza tra Stati Uniti e Israele reciprocamente vantaggiosa, in particolare quando le priorità geopolitiche degli Stati Uniti si sono spostate dopo la seconda guerra mondiale. La continua espansione di Israele e il suo maltrattamento dei palestinesi rispecchiano le dinamiche coloniali, in cui le popolazioni di coloni ricevono sostegno militare ed economico da grandi potenze imperiali per sottomettere le popolazioni indigene.

In questo contesto, l’impunità di Israele deriva da una combinazione di interessi geopolitici statunitensi, potere lobbistico interno (AIPAC), forza economica e militare e storico sostegno occidentale al progetto sionista. Sebbene famiglie come i Rothschild abbiano avuto ed hanno un ruolo nella storia di Israele, la vera fonte del potere duraturo e dell’impunità del regime sionista risiede nel suo allineamento strategico con gli interessi statunitensi e con la più ampia struttura del capitalismo e dell’imperialismo globale. Ricchezza, influenza e lobbismo operano all’interno di questo sistema per mantenere lo status quo, ma non sono la causa ultima. Osserviamo ora un caso studio concreto per capire la portata (ed i limiti dell’alleanza USA-Israele).

 

Il caso studio saudita: petrolio, ideologia, e sistema bancario

A questo punto nella nostra riflessione è utile prendere in considerazione il caso studio dell’Arabia Saudita. Il Regno dei Banu Saud potrebbe benissimo sostituire Israele nel ruolo di principale alleato degli Stati Uniti in Medio Oriente: ha le risorse economiche necessarie e potrebbe costituire una lobby simile all’AIPAC, potenzialmente esercitando un’influenza persino maggiore, grazie alla sua ricchezza.

Questo esempio solleva tuttavia un punto importante: se gli interessi statunitensi nella regione dipendono prevalentemente da fattori economici e geopolitici, perché un paese ricco di petrolio come l’Arabia Saudita non ha già preso il posto di Israele come alleato principale? Questo interrogativo tocca il nocciolo del motivo per cui Israele, nonostante la sua minore ricchezza e dimensione rispetto a nazioni come l’Arabia Saudita, gode di un sostegno impareggiabile da parte degli Stati Uniti. Il confronto tra Israele e Arabia Saudita rivela che la relazione tra Stati Uniti e Israele è alimentata da fattori ben più complessi del solo denaro o potere di lobbying.

Mentre l’Arabia Saudita è un partner essenziale per gli Stati Uniti grazie alle sue vaste riserve di petrolio, Israele ha uno scopo strategico e militare più ampio che va oltre l’economia del petrolio. Israele è considerato un avamposto militare altamente affidabile in una regione instabile. Sin dalla Guerra Fredda, Israele ha agito come contrappeso alle potenze regionali che potrebbero minacciare l’egemonia degli Stati Uniti, come l’Iran, l’Iraq (sotto Saddam Hussein) e gli stati arabi precedentemente allineati all’Unione Sovietica.

Inoltre, l’intelligence militare, le capacità tecnologiche e i sistemi d’arma avanzati di Israele forniscono agli Stati Uniti sostanziali vantaggi strategici, rendendolo molto più di un alleato finanziario o basato sulle risorse. L’Arabia Saudita, pur essendo cruciale economicamente, non ha le stesse capacità militari, la stessa facciata democratica e il predominio nel settore tecnologico che offre Israele.

La relazione tra Stati Uniti e Israele ha profonde radici storiche e ideologiche legate al sostegno occidentale al progetto sionista, che deriva dalle conseguenze della seconda guerra mondiale e dell’Olocausto. Questa narrazione unica ha radicato Israele nell’immaginario politico e culturale americano come una sorta di causa morale che trascende i soli calcoli economici o geopolitici.

Le lobby pro-Israele come l’AIPAC sfruttano de facto questa narrazione di valori democratici condivisi e senso di colpa storico per mantenere il sostegno politico e popolare negli Stati Uniti. L’Arabia Saudita, al contrario, non ha questo fascino ideologico o morale. La sua governance, vista in occidente come autoritaria, in violazione dei diritti umani (si pensi al caso Kashogi), e caratterizzata da estremismo religioso, è difficile da abbracciare apertamente per i politici statunitensi come fanno con Israele.

L’Arabia Saudita ha effettivamente avviato potenti operazioni di lobbying negli Stati Uniti, spendendo centinaia di milioni in pubbliche relazioni, think tank e donazioni politiche per influenzare la politica statunitense. Tuttavia, l’influenza dell’AIPAC va oltre il semplice potere finanziario: attinge a un profondo pozzo di sostegno popolare, sostegno religioso (soprattutto da parte dei cristiani evangelici) e reti politiche bipartisan. La rete di lobbying di Israele si è sviluppata nel corso di decenni e ha costruito legami con le élite politiche, i media e le istituzioni culturali degli USA, rendendola più radicata di quanto qualsiasi sforzo saudita potrebbe facilmente replicare.

Sebbene gli USA spesso chiudono un occhio su queste macchie alla reputazione saudita per motivi economici e di sicurezza energetica, l’Arabia Saudita non riesce a godere a dello stesso “scudo morale” che protegge Israele agli occhi della politica e dei media americani.

Inoltre, a differenza di Israele, che produce gran parte della propria tecnologia militare, l’Arabia Saudita dipende fortemente dalle forniture di armi e dalla formazione militare statunitense. Questa dipendenza riduce la capacità saudita di agire come un partner pienamente autonomo, mentre Israele si distingue come una potenza militare in grado di agire in modo indipendente. Anche le dinamiche politiche e religiose nella regione complicano la posizione saudita: rappresentando il mondo sunnita e dovendo bilanciare il proprio ruolo di custode dei luoghi più sacri dell’Islam, l’Arabia Saudita è spesso in contrasto con potenze sciite come l’Iran, ma anche con gli interessi statunitensi.

Nonostante la cooperazione con entrambe le nazioni, gli Stati Uniti vedono dunque Israele come un partner più stabile, “democratico” e militarmente affidabile. L’Arabia Saudita, sebbene sia una potenza economica, è percepita come un regime autoritario e fragile, vulnerabile a dissensi interni e instabilità regionale. Di conseguenza, Washington non considera Riyadh un sostituto affidabile di Israele dal punto di vista strategico e politico.

Di tutti i fattori comunque, quale potrebbe essere determinato come quello fondamentale da cui dipendono tutti gli altri, in modo che se non esistesse questa situazione di impunità cesserebbe? Ci sono molti fattori che si uniscono, ma si potrebbe sostenere che c’è un grande fattore fondamentale da cui derivano tutti gli altri. Sappiamo che gli Stati Uniti hanno interessi perché tramite Israele controllano l’area, sappiamo che Israele ha desideri simili insieme a un argomento religioso biblico che porta potenzialmente a colonizzare l’intera area più grande di Israele e a diventare la nuova superpotenza. Ma qual è il nocciolo?

Il fattore principale che sostiene l’impunità di Israele e la sua posizione unica nella politica estera degli Stati Uniti può essere presumibilmente ricondotto all’alleanza geopolitica strategica tra Israele e Stati Uniti. Questa relazione costituisce il fondamento da cui derivano tutti gli altri fattori e, senza di essa, l’attuale situazione di impunità di Israele probabilmente crollerebbe.

E’  dunque il momento di dare un’occhiata al fattore principale di questa alleanza strategica.

 

Il nocciolo della questione

Alla radice, gli Stati Uniti vedono Israele come una risorsa geopolitica cruciale in Medio Oriente. Israele agisce come un’estensione del potere e dell’influenza degli Stati Uniti in una regione altamente volatile, fungendo da contrappeso a regimi ostili (come l’Iran) e attori non statali (come Hezbollah, Hamas e ISIS).

Il Medio Oriente, essendo una regione con vaste risorse energetiche e una storia di instabilità politica, è di enorme importanza strategica per le potenze globali. Israele fornisce agli Stati Uniti un alleato stabile e affidabile in una regione che è altrimenti caratterizzata da regimi imprevedibili e alleanze mutevoli. Anche con l’evoluzione della politica energetica degli Stati Uniti e la ridotta dipendenza dal petrolio mediorientale, l’importanza geopolitica della regione rimane critica a causa della sua vicinanza a Europa, Africa e Asia.

Senza questa partnership geopolitica, Israele non riceverebbe lo stesso livello di supporto militare, finanziario e diplomatico dagli Stati Uniti e, pertanto, la sua capacità di agire impunemente diminuirebbe.

Il predominio militare e i progressi tecnologici di Israele sono, in larga parte, alimentati dagli aiuti degli Stati Uniti. Gli Stati Uniti forniscono a Israele oltre 3,8 miliardi di dollari all’anno in aiuti militari, il che garantisce che Israele mantenga un vantaggio militare qualitativo sui suoi rivali regionali. Questo supporto si estende anche al sostegno politico in forum internazionali come le Nazioni Unite, dove gli Stati Uniti spesso pongono il veto alle risoluzioni critiche nei confronti di Israele.

Senza questo sostegno materiale e diplomatico, Israele affronterebbe una maggiore resistenza sia da parte degli avversari regionali che degli attori internazionali, limitando la sua capacità di agire senza conseguenze. Perderebbe anche il suo accesso privilegiato alle armi e alle tecnologie statunitensi più avanzate, che gli forniscono la superiorità militare necessaria per mantenere il controllo sui territori palestinesi e proteggere i suoi confini.

L’alleanza tra Stati Uniti e Israele serve interessi reciproci. Gli Stati Uniti traggono vantaggio dalle capacità militari e di intelligence regionali di Israele, mentre Israele trae vantaggio dal sostegno finanziario, militare e diplomatico della superpotenza mondiale. Questa simbiosi consente a Israele di perseguire le proprie ambizioni territoriali (inclusi gli insediamenti in Cisgiordania e la visione più ampia di un “Grande Israele”) con la certezza che gli Stati Uniti continueranno a proteggerlo dalle ripercussioni internazionali.

Gli obiettivi a lungo termine di Israele, tra cui l’espansione territoriale e il predominio regionale (basti pensare al famigerato piano di una Grande Israele con i confini che sarebbero quelli biblici e cioè “dall’Egitto all’Eufrate”), sarebbero molto più difficili da raggiungere senza il sostegno garantito degli Stati Uniti sotto forma di aiuti, condivisione di intelligence e veti nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.

In questo quadro, l’influenza della lobby pro-Israele negli Stati Uniti, come l’AIPAC, è efficace solo perché si allinea con gli interessi strategici degli Stati Uniti nella regione. Se le priorità geopolitiche degli Stati Uniti si allontanassero dal sostegno a Israele, anche i gruppi di lobbying più potenti farebbero fatica a mantenere lo stesso livello di influenza. In altre parole, il potere dell’AIPAC è una funzione dell’allineamento geopolitico sottostante tra Israele e Stati Uniti, non la causa principale.

Anche le connessioni ideologiche e culturali tra gli Stati Uniti e Israele che abbiamo sopra menzionato e la relativa narrativa mediatica-politica, come il sostegno degli evangelici cristiani e la narrativa che dipinge Israele come una “causa morale”, trovano terreno fertile soprattutto perché Israele è visto come un alleato chiave degli Stati Uniti nella regione. Se l’alleanza geopolitica dovesse indebolirsi, anche questi legami culturali e religiosi perderebbero gran parte della loro forza politica pratica.

Se gli Stati Uniti decidessero dunque di rivedere le loro priorità geopolitiche e di ridurre il sostegno a Israele, quest’ultimo si troverebbe ad affrontare numerose difficoltà. Perderebbe il suo vantaggio militare e diventerebbe più vulnerabile a pressioni militari o politiche da parte degli stati vicini e di potenze regionali come l’Iran. Senza la copertura diplomatica fornita dagli Stati Uniti, Israele sarebbe esposto a sanzioni internazionali e all’isolamento, soprattutto per quanto riguarda la sua occupazione dei territori palestinesi e le violazioni dei diritti umani. Inoltre, il costo finanziario per mantenere la sua superiorità militare, il suo apparato di sicurezza e l’espansione degli insediamenti senza l’aiuto economico americano graverebbe pesantemente sull’economia israeliana.

In questo modo il cerchio si chiude (o quasi) e vediamo che il fattore principale che consente l’impunità di Israele è l’alleanza strategica tra Israele e gli Stati Uniti. Questa relazione è il fondamento su cui si fondano tutti gli altri fattori, come gli aiuti militari, il potere di lobbying e il sostegno religioso/culturale. Senza questa fondamentale relazione geopolitica, Israele non sarebbe in grado di mantenere la sua attuale posizione di predominio nella regione, né godrebbe dello stesso grado di protezione dalle conseguenze internazionali.

Non basta tuttavia comprendere l’alleanza USA-Israele in termini di benefici geopolitici o economici. Rimane da chiedersi quale sia il fattore di base che, se venisse meno, porterebbe al crollo dell’intera relazione e, di conseguenza, dell’impunità di cui Israele gode. In altre parole, ci interessa trovare la “radice della radice” di questa alleanza.

L’alleanza tra Stati Uniti e Israele in ultima istanza può essere vista anche come parte di un più ampio progetto imperiale occidentale, dove Israele funge da stato coloniale di insediamento, istituito con il sostegno delle potenze occidentali. Gli Stati Uniti (e prima ancora la Gran Bretagna) hanno storicamente sostenuto Israele come parte di uno sforzo per controllare territori strategici, in modo simile ad altri progetti coloniali. Israele è particolarmente adatto a svolgere questo ruolo poiché condivide il modello culturale e politico occidentale: democrazia (almeno per i suoi cittadini ebrei), capitalismo e un’élite per lo più istruita in occidente. Questo lo rende un partner affidabile per gli Stati Uniti, a differenza dei regimi autoritari che spesso si rivelano instabili o ostili agli interessi occidentali.

Se gli Stati Uniti dovessero abbandonare le loro ambizioni imperiali più ampie—se non cercassero più di controllare il Medio Oriente o di proiettare il loro potere a livello globale—l’alleanza strategica con Israele perderebbe senso, poiché il ruolo di Israele come avamposto occidentale non avrebbe più valore.

 

Infine la soluzione?

Tenendo conto di tutto ciò, la base fondamentale dell’alleanza tra Stati Uniti e Israele, e quindi dell’impunità di Israele, è l’interesse geopolitico e imperiale degli Stati Uniti a mantenere il controllo sul Medio Oriente. Tutti gli altri elementi—l’influenza dell’AIPAC, il sostegno religioso/ideologico, gli aiuti militari e persino il ruolo di Israele come alleato “democratico”—derivano da questa necessità geopolitica di fondo.

Se questa base fondamentale venisse meno, gli Stati Uniti ricalibrerebbero le loro alleanze nella regione, cercando nuovi partner come l’Arabia Saudita o persino l’Iran, a seconda delle circostanze politiche. Il valore di Israele si ridurrebbe se gli Stati Uniti non lo considerassero più essenziale per la loro strategia militare o geopolitica. Anche le narrazioni ideologiche e religiose perderebbero forza. Sebbene i legami culturali e religiosi potrebbero persistere, senza il sostegno strategico la visione di Israele come alleato cruciale in una “lotta di civiltà” perderebbe gran parte del suo peso. L’impunità di Israele non si basa dunque solo su un sostegno morale o religioso, ma sulla sua utilità materiale per gli interessi statunitensi.

L’influenza dell’AIPAC si indebolirebbe notevolmente. Se Israele non fosse più considerato vitale per gli interessi degli Stati Uniti, anche una lobby potente come l’AIPAC avrebbe difficoltà a giustificare il continuo sostegno militare e finanziario agli attuali livelli. Le lobby hanno successo solo quando si allineano agli interessi nazionali.

L’impunità di Israele è intrinsecamente legata al suo ruolo all’interno della più ampia strategia imperiale degli Stati Uniti nel Medio Oriente. È la sua funzione di avamposto strategico, militare e politico che lo rende insostituibile agli occhi degli Stati Uniti e giustifica il continuo sostegno economico, militare e diplomatico. Senza questo fondamento geopolitico, tutti gli altri fattori che sostengono questa alleanza diverrebbero secondari o, addirittura, si dissolverebbero.

L’influenza delle lobby, per quanto potente, non può sopravvivere indipendentemente dagli interessi strategici. La stessa retorica religiosa e culturale, che dipinge Israele come un baluardo di democrazia e civiltà occidentale in una regione percepita come ostile, perde significato se viene meno l’interesse primario degli Stati Uniti a mantenere il controllo sul Medio Oriente. Senza questa spinta geopolitica, il sostegno a Israele non troverebbe più una giustificazione pratica, e ciò eroderebbe rapidamente l’eccezionale posizione di cui Israele ha goduto fino ad oggi ponendo fine all’impunità di Israele e i suoi effetti devastanti nella regione.

Crediti immagine copertina: Evelyn Hockstein/AP Photo