Sunniti e Sciiti: perché oggi il nemico soffia sul fuoco dello storico dualismo

È una storia vecchia anzi, antica. Inizia alla morte terrena del Profeta Muhammad (pbsl) quando si trattava di dare una guida politica alla comunità islamica. Muhammad non aveva lasciato in merito indicazioni incontrovertibili e i più stretti compagni agirono di loro iniziativa. Abu Bakr il più caro amico del Profeta, suo compagno di egira e padre della sua sposa preferita fu investito dalla responsabilità di quello che poi sarebbe diventato il califfato, la luogotenenza, il vicariato.

Con questa azione saltava un altro istituto della società araba del tempo, la priorità, anzi la quasi esclusività del sangue nelle successioni dinastiche. Morto il capo era un figlio o un fratello o un altro membro della sua famiglia più stretta a sostituirlo e poteva essere diversamente solo al prezzo di feroci scontri tra i clan. 

La Gente delle Casa (Ahl al-Bayt) soffrì una cocente delusione: per loro Ali Ibn Abi Talib, il cugino e genero di Muhammad, secondo gli storici il primo uomo a riconoscere la sua missione e abbracciare l’Islàm, era l’erede naturale.

Pare che Ali non fosse presente quando fu presa la decisione di scegliere Abu Bakr, abbozzò solo per amor di pace e comunque ci mise sei mesi ad accettarla anche formalmente. 

Assunse a sua volta il califfato solo 23 anni più tardi e contro di lui si scatenarono rivolte che molti ritengono essere state l’origine di tutte le fitna, le discordie anche sanguinose, interne alla comunità islamica.

Nei secoli che si sono succeduti si sono alternati periodi di sostanziale quiete e altri di scontro tra le due fondamentali anime della tradizione islamica e oggi si ritiene che l’85% della Umma si riconosca nel sunnismo e il restante 15 nella shi’a, nella stragrande maggioranza duodecimale imamita, maggioritaria in Iran, Azerbaijan, Bahrein, Iraq, Libano ma presente in molti altri Paesi, Pakistan, Afghanistan, Yemen e altri.

Poi nel 1979, dopo un lavorio sotterraneo di molti anni il popolo iraniano, appoggiato e diretto dal clero sciita, abbatté la monarchia e costrinse lo Scià a lasciare il paese insieme alla sua famiglia. A contempo l’ayatollah Ruhollah Khomeini in esilio da più di 15 anni tornò trionfalmente a Teheran e gettò le basi per quella che sarebbe diventata la Repubblica Islamica dell’Iran.

Fu in quel tempo, in cui stava diventando evidente che la Nato avrebbe vinto la Guerra Fredda, che l’occidente iniziò a preparare un nuovo nemico: l’islamismo politico che, d’altra parte, in Afghanistan, stava appoggiando risolutamente in funzione antisovietica.

La rivoluzione iraniana pose in evidenza la specificità sciita e furono enfatizzate alcune forme rituali difficilmente comprensibili e inquietanti per l’opinione pubblica europea e nordamericana e rispolverate vecchie definizioni del Foreign Office che aveva definito gli sciiti veri rivoluzionari ben di più che i bolscevichi.

Nel mondo islamico l’entusiasmo di molti subì la doccia fredda di 8 anni di guerra imposta dall’Iraq di Saddam Hussein alla confinante Repubblica Islamica, un’inutile carneficina che tuttavia indebolì enormemente l’Iraq e spinse Saddam all’invasione del Kuwait, prodromo alla sua rovina e del Paese che governava. 

In quei drammatici frangenti tornò ad esprimersi la dicotomia sunniti-sciiti e perfino arabi-persiani come se non fossero modi diversi di essere musulmani, ma opposizioni insanabili con reciproche continue scomuniche. 

Argomenti per rinfocolare e approfondire le divisioni se ne trovano sempre e i poteri che opprimono il mondo islamico, in maniera diretta o per interposti regimi asserviti, non hanno che l’imbarazzo della scelta.

La questione palestinese è uno di refrain preferiti di chi governa i musulmani, il re del Marocco è il presidente del Comitato al Quds le cui stanze sono a Rabat, in Iran si celebra ogni anno la Giornata della Palestina e quasi nessun arabo o musulmano non soffre o fa finta di soffrire per l’occupazione di Bayt Al Maqdis da parte dell’entità sionista.

Poi periodicamente la tensione aumenta, in ragione delle attività della Resistenza palestinese e della aggressione/repressione/occupazione dello Stato d’Israele e, a seconda anche delle contingenze interne, si sprecano le dichiarazioni di solidarietà e gli appelli all’unità contro il comune nemico o i distinguo speciosi… sì però… ma non a questo punto… mai con quelli… fino al tradimento conclamato che la gran parte del mondo arabo non ha neppure più l’ipocrisia di celare.

Questa Tempesta di Aqsa, per la prima volta dal 1948 ha cancellato la vergogna delle guerre perse senza quasi manco combatterle (giugno 1967) o di quella vinta per modo di dire nel 1973.

Per la prima volta la passione, la capacità e soprattutto il senso di sacrificio del popolo palestinese e di Gaza in particolar modo ha messo tutti allo scoperto, il re è nudo, anzi è proprio inguardabile, non si salva quasi nessuno.

In questo quadro tragico spicca l’eccezionalità della componente sciita: l’Iran e i suoi stretti alleati : Hezbollah e Houti, partecipano attivamente alle operazioni belliche e ne pagano le pesantissime conseguenze di morte  e distruzione, non certo alla stregua dei palestinesi ma comunque in modo significativo.

“Ohibò, potremo mai farci dare lezioni di solidarietà con la Palestina” dicono Al Cairo, a Riad, a Rabat, a Dubai, a Manama… (ad Algeri non dicono niente ché il gigante dorme, a Tunisi Kaïs è troppo occupato a truccare le elezioni, in Libia parla solo il Mufti, ad Amman addirittura si vantano di aver intercettato la risposta iraniana agli omicidi di Haniyeh, Nasrallah e molti altri). Ohibò, dicono ma poi insinuano attraverso i media che controllano. Insomma, non sarebbe che teatro, tutto, i missili di Hezbollah, i cerca persone esplosi, i bombardamenti sui quartieri sciiti Beirut. Insomma teatro, argomentano altri, le morti e le distruzioni ci sono davvero!

Allora esce la serpe del razzismo anti persiano. “Teheran si è venduta Hanieh e poi anche Nasrallah perché non erano più organici al suo progetto, tanto erano arabi, mica dei loro” dicono.  Insomma senza un briciolo di buon senso alimentano una fitna (discordia interna in questo caso) di cui solo il nemico può avvantaggiarsi.

Una favola araba racconta di tre tori: uno nero, uno rosso e uno bianco; che stavano sempre insieme ed erano in sicurezza proteggendosi a vicenda dal leone. Un giorno il leone vide quello nero un po’ distante dagli altri, non abbastanza da poterlo attaccare con successo ma da potergli parlare senza farsi sentire dai suoi fratelli. “Sai gli disse ho sentito il rosso e il bianco che sparlavano di te”, il nero non gli rispose ma fu colpito da quelle parole e si tenne sempre più in disparte dagli altri. Il leone che lo seguiva ne approfittò, radunò le sue leonesse, lo attaccarono e lo sbranarono. Gli altri due ne furono addolorati ma cominciarono a sospettare uno dell’altro e così pascolavano ognuno per conto proprio. Il branco ne attaccò uno e infine il leone trionfante andò incontro a quello superstite e gli disse beffardo: “Sai quando ho saputo che ti avrei mangiato? Quando ho mangiato il primo di voi”.