Voci censurate: intervista a Giuseppe Flavio Pagano “dal dossieraggio alla minaccia: come la critica al sionismo ha messo in pericolo la mia libertà”


Giuseppe Flavio Pagano, attivista e giornalista, si trova oggi a dover fronteggiare una dura campagna di diffamazione orchestrata da figure legate al sionismo italiano. Dopo aver denunciato pubblicamente i crimini contro l’umanità perpetrati in Palestina, ha subito attacchi che hanno messo in discussione la sua libertà di espressione e addirittura minacciato la sua sicurezza. In questa intervista esclusiva, Pagano racconta come la sua lotta per la verità sia stata trasformata in un obiettivo da parte di chi non tollera il dibattito critico su Israele e sul conflitto mediorientale. Una conversazione che mette in luce le ombre di un sistema sempre più pronto a soffocare le voci dissidenti.

Abbiamo visto che sei stato coinvolto in alcune vicende mediatiche, ci puoi spiegare cosa è successo?

La mia attività di informazione su quanto accade a Gaza e in generale nell’area mediorientale attraverso i social ha dato molto fastidio a una serie di figure note del sionismo italiano, le quali si sono organizzate per svolgere azione di dossieraggio e inizialmente provare a farmi perdere il lavoro: tra esse figurano Elisa Serafini, sedicente giornalista ed ex assessore del Comune di Genova, e gli amministratori del gruppo Telegram Israele senza Filtri. Sempre questi figuri hanno presentato denunce alla Digos di Genova e di Firenze (quest’ultima opera di Marco Carrai, console onorario d’Israele) con l’accusa calunniosa di istigazione al terrorismo e all’odio razziale.

Dopo che una mia inchiesta su un gruppo Telegram “Israele senza Filtri” e le sue attività di istigazione ad omicidi politici è stata ripresa da Al Jazeera, la Procura ha ritenuto opportuno inviare il nucleo anti-terrorismo della Digos di Firenze per appurare se avessi legami con gruppi o singoli che rimandassero al terrorismo islamico, o se svolgessi io stesso attività di proselitismo.

È assolutamente incredibile come le attività diffamatorie di gruppi sionisti organizzati arrivino a far mobilitare procure e questure per punire frasi critiche contro Israele e i suoi crimini genocidiari, e quanto le stesse procure e questure siano immobili di fronte alle minacce del terrorismo (questo sì molto realistico) della galassia sionista.

Pensi di avere qualche responsabilità?

La mia unica responsabilità è di dare fastidio chiamando i crimini di Israele con il nome più corretto dal punto di vista giuridico: genocidio verso i Palestinesi.

Pensi che ci sia l’intento da parte di alcune figure istituzionali di intimidire chi si pronuncia sul genocidio in Palestina?

Sicuramente ci sono figure istituzionali al servizio di paesi stranieri, non serve dire neanche quali, che provano a pressare organi giudiziari e di polizia per mettere a tacere figure critiche verso il sionismo. Ma non si limitano solo a questo. Non è un caso che in tanti di questi personaggi si siano adoperati per chiedere un aggiornamento del termine “antisemitismo” presso vari ministeri e presso Palazzo Chigi, inserendo all’interno di questa definizione chiunque critichi Israele e promuova azioni di boicottaggio o disinvestimento, secondo quanto indicato dall’IHRA (International Holocaust Remembrance Alliance). È stato altresì presentato un disegno di legge, a firma Salvini, che allarga l’applicabilità del termine antisemitismo per vietare le manifestazioni in solidarietà con la Palestina.

La libertà di parola è a rischio in Italia secondo te?

In Italia siamo all’alba dell’avvento di una “democratura”, ovvero un regime autoritario che mantiene la facciata di istituzioni democratiche. Lo abbiamo visto con il recente disegno di legge 1660 redatto da Piantedosi, lo abbiamo visto nelle repressioni di piazza, e lo vediamo in queste perquisizioni e sequestri arbitrari. Manifestazione del libero pensiero e libertà di sciopero o manifestazione sono i primi pilastri che stanno provando ad abbattere. Ogni traccia di conflitto sociale – un tempo necessario all’avanzamento e al mantenimento dei diritti – prova ad essere silenziato o demonizzato davanti all’opinione pubblica con il termine “crimine” o “reato”.

Questo è un pericolo non solo per chi è solidale con la Palestina, ma per chi ha a cuore una democrazia e una società aperta. Dobbiamo assolutamente opporci a questa deriva per non ritrovarci in una seconda Bielorussia in Europa.

Riflessioni su quello che sta accadendo in Libano e sull’ennesima astensione del nostro governo di riconoscere le violazioni del diritto internazionale da parte di Israele.

L’aggressione al Libano è l’ennesimo diversivo che sta giocando il regime morente di Netanyahu a caccia di consensi interni ed esterni. La campagna militare di Gaza, benché si qualifichi come un genocidio da manuale, non ha ottenuto i risultati sperati. Per questo rivolgere l’attenzione verso Hezbollah darebbe a Tel Aviv la possibilità di blindare gli USA e i paesi satelliti ai loro impegni decennali di sostegno militare (e politico) verso Israele: un vero patto criminale per arrivare ben oltre le elezioni di novembre a Washington.

Non sorprende pertanto la posizione dell’Italia in questo scenario. I richiami alla moderazione verso uno stato canaglia, ormai artefice conclamato di crimini contro l’umanità, sono un refrain che testimonia l’assoluta mancanza di volontà politica di porre fine al massacro. Israele, in questo senso, è il più autentico interprete della vocazione mortifera, distruttiva, disumanizzante dell’Occidente e del suo capitalismo di guerra.