I collettivi della Sapienza si uniscono alla censura sionista: colonialisti in nome del transfemminismo

Doveva essere un evento di discussione e approfondimento sulla questione palestinese, ma si è trasformato nell’ennesima dimostrazione di quanto certi ambienti della sinistra radicale siano preda di steccati ideologici e di un confuso furore censorio. Dopo la censura imposta dalla Facoltà di Fisica de La Sapienza, pensavamo di poter contare sulla disponibilità di alcuni collettivi della Facoltà di Lettere, che si dichiarano paladini della libertà di espressione contro le censure imposte dall’alto. Ma sorpresa: anche loro ha scelto la censura. Perché? Perché io sarei un reazionario misogino e complice del patriarcato, un apologeta dell’Iran e della Turchia, e per giunta colpevole di aver partecipato a un dibattito organizzato da Casapound.

Ora, analizziamo il tutto con un po’ di logica, ammesso che la logica sia ancora un criterio valido in certi ambienti.

Sono stato invitato a un dibattito e ho accettato. Perché? Perché non ho preclusioni ideologiche nel discutere con chiunque, figurarsi che parteciperei perfino a un dibattito del PD, e come ho dimostrato potrei persino discutere con i transfemministi intersezionali. Ma qui sta il punto: io sono realmente democratico e aperto al confronto, come musulmano ho vissuto l’esclusione e la stigmatizzazione in prima persona e non voglio replicarla verso nessun mentre loro vivono di steccati ideologici e hanno paura di mettere in discussione la loro fragile impalcatura teorica. 

Secondo questi collettivi, io considererei la donna in una posizione subalterna. Questo non solo è falso, ma è anche una ridicola lettura della mia cosmovisione e di quella islamica. Ma d’altronde, come potrebbero loro, i grandi anticolonialisti, accettare che un popolo o una cultura abbiano un’identità e una scala di valori diversi dai loro dogmi? Questi predicano l’antimperialismo ma essendo al contempo apostoli dell’armamentario ideologico che più oggi caratterizza la deriva consumista e capitalista occidentale che va imposta al mondo.

Criticano la censura quando viene imposta dai sionisti o dall’Università, ma poi sono i primi a praticarla appena incontrano qualcuno che non recita il loro catechismo ideologico. Si dichiarano anticolonialisti, ma poi disprezzano l’identità dei palestinesi, che è profondamente islamica, e vorrebbero imporre loro le loro fantasie gender fluid e transfemministe. Sono così prigionieri della loro mentalità coloniale da non rendersi conto che i popoli del mondo – inclusi i palestinesi – hanno valori, tradizioni e una visione della vita che non hanno nulla a che fare con le loro derive ideologiche.

L’apice della loro ipocrisia è nel sostenere la resistenza palestinese per poi censurare me. Ma cosa pensano? Che a Gaza siano tutti ferventi lettori di Judith Butler? Che Sinwar sia un attivista queer? Fingono di sostenere il popolo palestinese, ma solo a patto che questo rinneghi ciò che è. Questa non è solidarietà, è puro colonialismo culturale.

In questi giorni sono stato bersagliato prima dalla presidente delle comunità ebraiche italiane (sioniste) Noemi Di Segni, poi dagli esponenti della destra di governo come Donzelli e ora da questi collettivi transfemministi intersezionali. Il fatto che nemici così distanti tra loro si trovino allineati nel censurarmi mi conferma che sto facendo la cosa giusta. Quando i sionisti, la destra  di governo e la sinistra gender fluid si uniscono contro di te, significa che sei davvero dalla parte della verità.

Tutto ciò dimostra che, pur restando aperti al dialogo, è il momento di prendere atto che certi gruppi non possono essere compagni di viaggio nella lotta per la Palestina. La questione palestinese deve essere portata avanti da chi ne comprende e rispetta l’identità valoriale. Chi pensa di poter sostenere la Palestina imponendole i dogmi della società occidentale capitalista e consumista, non sta facendo altro che ripetere il copione colonialista di sempre.

Cari collettivi, continuate pure a ingarbugliarvi nei vostri deliri ideologici. Noi andiamo avanti con la realtà.