Queste elezioni si collocano tra due eventi storici di prima grandezza: la pandemia per la quale si è fermato il globo per quasi due anni e la nuova guerra tra Stati Uniti (per procura) e Russia che rischia di trascinarci in un conflitto mondiale. Il dramma è che la campagna elettorale stenta ad accorgersene.
Gli eventi appaiono connessi con la messa a punto di un nuovo sistema di governo e di controllo, giustificato dall’emergenza sanitaria ma altrettanto funzionale per quella bellica.
Entrambi i governi che si sono succeduti – il Conte II e quello Draghi – si sono dimostrati campioni internazionali in entrambi gli scenari, dapprima imponendo le misure più restrittive e illogiche che si siano viste in Europa, (ottenendo il primato di decessi), e successivamente appiattendosi completamente ai voleri dell’amministrazione Biden, dilapidando in pochi mesi il bagaglio storico di relazioni italo-russe che ora potrebbero salvare la vita della nostra economia.
L’adesione all’Alleanza atlantica e la fedeltà al contesto europeo vengono ripetute come un mantra, facendo finta di non sapere che un membro di peso della NATO, come la Turchia, che pure ha aperti diversi fronti di conflitto con Mosca, si è rifiutato di applicare le sanzioni e che Orban resta nell’Unione Europea, pur ottenendo da Putin accordi vantaggiosi sul gas.
Evidentemente il nostro peso geopolitico vive un processo di progressiva atrofizzazione, che ben riflette il declino della qualità della nostra leadership, relegandoci al ruolo di meri vassalli dell’impero.
Si comprende allora come la sensazione di inutilità verso i rituali e i consessi della democrazia rappresentativa non sia mai stata forte come oggi in tutta la storia della Repubblica. É vero che -negli ultimi anni – la partecipazione era andata scemando costantemente, ma a pochi giorni dal voto si respira aria di astensionismo record.
Se le nostre sorti – entrare o meno in una guerra nucleare, poterci scaldare dal freddo, viaggiare, farci la doccia, fare la spesa senza accendere un mutuo – dipendono in buona misura dalla politica estera … e alla Farnesina siede Luigi di Maio, allora appare scontato che le istituzioni che concorriamo ad eleggere non siano la vera sede del potere.
Se a ciò aggiungiamo che le due coalizioni principali hanno fatto voto solenne di americanismo e promettono di spingere l’acceleratore per l’invio di armi a Kiev, il quadro è completo.
Certo, alla politica italiana che potremmo chiamare “politica locale”, restano ancora alcune competenze, ed è giustamente nell’ambito di queste che i partiti si sfidano. Ecco imperversare le polemiche sui diversi diritti “civili”, la gara sulle percentuali delle aliquote e poi la madre di tutte le battaglie, quella sui bonus. La nostra è diventata la repubblica dei bonus, al punto che il primo articolo della Costituzione dovrebbe essere modificato. Ricordate gli anni Novanta, quando Berlusconi prometteva un milione di posti di lavoro? Oggi suonerebbe come una minaccia!
D’altronde perché promettere lavoro, oggettivamente difficile da creare, quando si possono concedere sussidi?
Non che il lavoro renda davvero liberi, ma almeno un po’ autonomi sì; mentre i sussidi, soprattutto in una prospettiva di cittadinanza a punti, possono facilmente creare nuove schiavitù.
Tutte questioni che interessano da vicino anche un milione di elettori musulmani. il nostro giornale, infatti, per tastare il polso all’elettorato islamico ha realizzato un sondaggio con domande ad ampio spettro sulla politica italiana e le imminenti elezioni.
Cosa emerge dal sondaggio?
Innanzitutto, quasi l’80% dei partecipanti risiede nelle regioni del Nord, con la Lombardia che fa la parte del leone con il 35%. Questo dato riflette solo in parte la distribuzione territoriale della comunità islamica italiana, ma sembra rispecchiare le differenze in termini di organizzazione e qualità della presenza.
Alla domanda sulla propria identificazione cioè la collocazione a destra o sinistra, il 52% ha scelto “sinistra” e solo il 13% “destra”, mentre il 35% non si riconosce in nessuno dei due schieramenti. Sebbene la prevalenza per la sinistra sia forte, le risposte ad una delle domande successive ci dice che ben il 72% dei musulmani non riesce a definirsi progressista. Si prospetta, quindi, una cultura della sinistra propria, non allineata al progressismo di stampo globalista.
Questo identikit viene poi confermato dalle risposte su tre questioni totem dell’agenda progressista: la gestione sanitaria globale, le politiche di promozione dell’omosessualità e, oggi, la guerra alla Russia.
Infatti il 40% giudica negativamente la gestione covid da parte del governo, mentre il 31% si colloca nel mezzo. Il parere sull’azione di Speranza invece è considerato positivo solo dal 28% dei partecipanti al sondaggio.
Interrogati sulla possibilità di votare un partito promotore dell’agenda LGBT, i partecipanti hanno dato un riscontro inappellabile, in quanto il 77% di loro ha risposto negativamente; più o meno la stessa percentuale di disapprovazione che troviamo rispetto all’invio di armi all’Ucraina da parte del nostro Paese: il 71% disapprova la scelta e il 20% si colloca in una posizione mediana.
Un problema di rappresentanza
Questi dati delineano un cortocircuito.
In termini di contenuti è bocciato tanto l’operato del governo Draghi, che la proposta politica della forza che si auto-definisce “i migliori”, cioè il Partito Democratico.
Dall’altro lato, tuttavia, la necessità di una legge contro l’islamofobia è indicata come priorità da un quinto degli interpellati ed il diritto all’edificazione dei luoghi di culto da un quarto, a confermare la distanza che separa l’elettorato musulmano dalle due principali forze della coalizione di centro destra, Lega e FDI, che – soprattutto negli anni passati – hanno fatto della lotta all’Islam uno dei loro principali cavalli di battaglia.
Si configura, quindi, una scelta che avviene per sottrazione, cercando di trovare le forze che abbiano in programma meno elementi negativi, una scelta per esclusione.
In questo processo si colloca il dato del Movimento 5 stelle, preferito nelle ultime elezioni (2018) dal 32,6% dei musulmani (perfettamente in linea col dato generale) mentre ora lo stesso partito si assesta al 21%, certo in netto calo ma comunque ancora sopra la media nazionale. A rafforzare questo dato vi è il risultato della domanda rispetto alla fiducia nei leader, con Giuseppe Conte che guida la classifica con il 28,5% seguito da Alessandro Di Battista col 16%; i due dati sommati raggiungono il 46.5%, lasciando una quindicina di altri politici a dividersi il restante 53,5%.
Nonostante il suo trasformismo, il Movimento si colloca ancora in cima alle preferenze, probabilmente per l’eco delle istanze apprezzate nel passato dagli elettori; oggi il vantaggio deriva forse dall’essere percepito come non islamofobo e, al contempo, almeno in apparenza non alfiere di scelte etiche incompatibili con la fede e la cultura islamica.
Le forze anti-sistema Italexit e Italia Sovrana e Popolare destano sorpresa in quanto sommate raggiungono il 9% delle preferenze; risultato che pare testimoniare l’insofferenza dei musulmani verso le forze politiche tradizionali ed il loro appiattimento alle direttive di Washington e della finanza internazionale.
Priorità di una comunità sempre più italiana
Il sondaggio mostra come, con l’integrazione nella società italiana della comunità islamica, quest’ultima ne condivida anche le priorità. Emerge, infatti, come maggior motivo di preoccupazione la situazione economica e la crisi energetica, rispetto a tematiche più identitarie o legate al contesto migratorio, come lo sono lo ius soli e la questione degli sbarchi.
I musulmani continuano, invece, a dimostrarsi attenti ed esigenti per quanto riguarda il diritto di culto, che considerano non ancora sufficientemente garantito.
Come noto, alcune forze politiche invocano una “normalizzazione” dei musulmani all’interno del resto della società italiana. Se da un lato è fisiologico e comprensibile che i cittadini italiani di fede islamica siano sintonizzati sulle aspirazioni ed i timori generali, dall’altro non si ci si può accontentare del diritto di culto, non si può vivere di sole bollette basse e carne halal, anche se oggi entrambe possono apparire grandi conquiste.
Due milioni e mezzo di musulmani, che hanno una propensione alla crescita demografica superiore ai concittadini non musulmani, si pongono per forza di cose come un nuovo soggetto sulla scena politica, anche senza esserne consapevoli, anche se non sono organizzati, anche se in parte non votano. Sono presenti e sono portatori, innanzitutto, di una spiritualità che offre una proposta diversa ed un valore aggiunto dal valore inestimabile, e possono farsi custodi dei valori che i popoli europei stanno perdendo o meglio, di cui sono derubati.
Ad oggi le tre priorità dell’azione politica dei musulmani dovrebbero essere: la pace, la salvaguardia dei valori umani ed il perseguimento della giustizia sociale.
Quindi no al bellicismo scellerato, che ha trascinato il nostro Paese in una guerra che il popolo italiano non vuole, e no alla folle corsa agli armamenti. I musulmani debbono impegnarsi affinché il futuro governo scelga la via della diplomazia internazionale, affinchè venga finalmente riconosciuta la realtà di un mondo multipolare perché “The world is bigger than five”. Per giungere a questo però bisogna innanzitutto recuperare la sovranità nazionale.
Non meno importante, seppur meno urgente del rischio di una guerra nucleare, viene la difesa dei diritti da qualcuno giustamente definiti “non negoziabili”: la difesa della famiglia così come concepita dal nostro Creatore, la difesa della vita dalla smanie di onnipotenza tecnologica, il rifiuto dello scientismo a favore della vera scienza, la protezione dei bambini dall’imposizione di modelli devianti e la garanzia del diritto di cittadinanza a tutela della fede anche nello spazio pubblico.
Infine, imprescindibile dev’essere la nostra opposizione al sistema finanziario basato sull’usura e la conseguente usurpazione da parte della finanza di ogni spazio di sovranità ed autodeterminazione dei popoli; i musulmani si battano contro l’ingiustizia e la schiavitù in tutte le sue forme.
Per fare ciò servirà un nuovo movimento con basi islamiche o sarà più opportuno affidarsi alla forma tradizionale del partito? Il dibattito è appena iniziato ed il nostro giornale si fa e si farà promotore di tale impegno civico e morale.