L’importanza della pratica del ricordo di Dio nell’era dell’ego virtuale

Nella Tariqa, la scuola iniziatica islamica, si fa largo uso di diverse forme di Zikr (Pratica rituale del ricordo di Dio); ogni Maestro autorizzato a guidare le persone nella profondità del proprio cuore ha tramandato ed implementato forme di Ricordo di Dio su base principalmente collettiva.

L’obiettivo di tali riti è l’abbandono della propria concezione del sé, dell’ego come realtà egocentrica, a favore della presenza di Dio e della conoscenza diretta delle Sue Caratteristiche Sublimi.

Per farlo gli adepti imparano a gestire il proprio ego, a capirne le caratteristiche ed a comprendere le regole di quella lotta continua e sfiancante che il Profeta (pbsl) ha definito ‘il grande Jihad‘ , inteso come lo sforzo più grande che si possa compiere sulla strada che ci porta verso Dio.

Negare i propri capricci ed i propri desideri per lasciare posto alla volontà di Dio. Perdere se stessi ritrovandosi completati ed elevati nella Presenza divina. Solo chi ha gustato ciò può comprenderne l’estasi e la profondità, ma anche il comune credente può trovarne un assaggio dolcissimo nelle preghiere comunitarie del Tarawih, le recitazioni congregazionale che si tengono lungo le notti del mese Sacro e Benedetto di Ramadan.

La forza della recitazione della Parola di Dio e delle invocazioni dell’imam per la richiesta di ogni bene da parte del nostro Creatore, fa spesso sgorgare lacrime di profondo pentimento che lavano i cuori e lasciano una sensazione di pace, pienezza e soddisfazione.

A pochi adepti delle scuole iniziatiche estremamente qualificati invece, sono riservate quelle forme di Ricordo solitarie dette ‘Khalwa’ dove il discepolo si separa completamente del mondo per un certo periodo di tempo dedicandosi esclusivamente al Ricordo di Dio rimanendo da solo con il suo ego ed il suo Signore. Una prova durissima e intensa che ha l’obiettivo di perdersi nella dolcezza della solitudine per trovare l’Unica vera Compagnia che dovrà accompagnarlo con quello stato una volta uscito: quella di Dio. Per il comune credente è più difficile realizzare questo in una pratica devozionale comune, come una delle cinque preghiere quotidiane, ma non è affatto impossibile. È pur sempre una questione di autodisciplina e di controllo del proprio ego.

Dice infatti il Maestro Ibnu Ata Allah as-Sakandari nel suo libro ‘Sentenze e colloquio mistico’: “Niente giova al cuore come una solitudine che gli permette di entrare nel campo della meditazione”.

Con l’avvento del nuovo secolo e la nascita di smartphone e social network, la quasi totalità degli occidentali e una grossa fetta dei popoli orientali che vivono di riflesso allo sviluppo tecnologico dei primi, hanno subito una forte ristrutturazione della società. Prima di quell’evento infatti le persone vivevano principalmente la propria vita sociale all’interno delle piazze e della comunità, sviluppavano rapporti interpersonali faccia a faccia e mantenevano un contatto con i propri pari pressoché continuo. Oggi i luoghi virtuali hanno preso il posto delle piazze e gli smartphone sono diventati il piccolo oblò dal quale vediamo la realtà che ci circonda secondo gli algoritmi che decidono di mostrarci una cosa piuttosto che un’altra.

Prima di tutto questo vi era il condizionamento della televisione che veniva però limitato dal continuo contatto umano. Il presente invece è fatto di persone che vivono i rapporti sociali in completa solitudine,  totalmente condizionati dalla visione che ci viene proposta da chi ci ha venduto i servizi che utilizziamo.

Questo ci lascia continuamente da soli con il nostro ego, e mentre la nostra assenza corporea in una società di esseri umani veri concretizza la nostra sensazione di ‘non essere’ siamo spinti a concorrere in un continuo turbine di affermazione e di presenza nel web dove chi ha sviluppato l’ego più grande è più visibile degli altri, e la sua ‘nuova esistenza’ virtuale si concretizza proporzionalmente alla quantità dei suoi followers.

Non avendo un conseguito quasi nessuna qualificazione spirituale e senza avere neppure delle nozioni di base sull’utilizzo di internet e dei social network, la maggior parte delle persone cade in un buco dal quale poi riesce difficilmente a tirarsene fuori. 

In quella khalwa virtuale rovesciata ritrova il costante ricordo di se stesso e viene vinto completamente dalle proprie passioni che di volta in volta si contorcono per offrire un nuovo livello di caduta, di abbandono della strada di Dio e di allontanamento da Lui.

Essendo i credenti musulmani in grossa parte consci della presenza del concetto di Dio, esprimono questa degenerazione dell’ego nell’acquisizione di terminologie sferzanti e ciniche per esprimere i concetti, per supportare le proprie tesi o per rapportarsi con fratelli e sorelle che esprimono visioni diverse dalla propria. 

Questo provoca la rottura del rapporti e la disgregazione della Comunità, rendendo i credenti sempre più deboli e isolati di fronte alle pressioni presenti di una società che vuole sempre di più criminali dare e stigmatizzare l’immagine le dei musulmani. La necessità di esistere nella realtà virtuale toglie sempre di più spazio al vero ricordo di Dio e porta molte persone ad accumulare peccati a causa della propria lingua. 

Probabilmente molti conoscono il detto del Profeta (pbsl) che parla di coloro che cadono all’inferno sulla punta della propria lingua, ma la maggioranza di essi non si rende conto delle dinamiche che li governano nella realtà virtuale e vedono le proprie azioni come necessarie, e solo come un effetto di una causa esterna, di un comportamento altrui che si ritiene sbagliato e che si pensa debba essere corretto.  

Tra le trappole che l’ego tende ai credenti guidandoli su questa via sdrucciolevole via e l’illusione di dover fare Dawa, di dover insegnare l’Islam a chi non lo conosce, di riportare l’importanza di un parere sapienziale rispetto ad altri o di esprimere la propria visione della religione con l’obiettivo di vederla confermata. Per quanto le passioni si addobbino con begl’abiti, rimangono sempre delle buche temibili!

La deriva completa di tutto questo si realizza nella convinzione di coloro che pensano di poter tralasciare la propria educazione religiosa ritrovando la poi sui gruppi presenti su Facebook o su qualche altra piattaforma, sostituendo il provider dei servizi al Maestro educatore.

Non è un caso che le poche sacche di estremismo di matrice islamica si trovino fra le pieghe del web e quasi mai in una realtà comunitaria vera, dove non troverebbero nessuno spazio neppure di fronte alle conoscenze di un credente comune.

Su internet invece trovano l’ambiente più favorevole, ricco di persone ignoranti e di giovani musulmani completamente impreparati e animati da buone intenzioni. Facendo poi leva sul senso di inadeguatezza dovuto ragioni etniche e sociali, o sul rifiuto delle derive della società occidentale, persone malintenzionate trovano consensi rendendo accettabile ciò che non trova nessuna giustificazione nella religione islamica e vendendolo come il massimo del bene raggiungibile per un vero credente.

L’unica cura per non cadere in tutte queste nefaste insidie e cercare di limitare l’utilizzo di internet e dei social network e di aumentare esponenzialmente la pratica del ricordo di Dio nella vera vita comunitaria e se possibile sotto la guida di un Maestro autorizzato.

Non per nulla Dio dice nel Sublime Corano : ‘in verità l’anima ordina il male!’ (12:53) ed a ciò bisognerebbe porre molta più attenzione di quella che emettiamo: che grave errore sarebbe quello di credere di averci pensato abbastanza!

Internet è uno strumento, e come ogni strumento può essere utile o dannoso: se non sapremo trovargli il giusto posto nella scala di valori secondo ciò che è importante nella Religione di Dio, ne verremo completamente sopraffatti e gli unici artefici della nostra sconfitta saremo noi stessi ed il nostro ego.