Il Tempo del Beduino: la critica radicale di Ian Dallas al mondo nato dalla Rivoluzione Francese

Il tempo del beduino è un saggio scritto dallo scozzese Ian Dallas (1930-2021), divenuto dopo la sua conversione all’Islam, avvenuta nel 1963, Abdelkadir as-Sufi. Questo saggio ha visto la luce per la prima volta nel 2007 per i tipi di Boudgate Press con il titolo originale di The Time of the Bedouin, ed è stato ora tradotto in italiano da Stefano Azzali; già disponibile su Kindle ed in versione cartacea edito da Il Fondaco dei Libri. 

Secondo l’autore, all’inizio del mondo moderno ci fu la Rivoluzione francese, tutto iniziò lì. Tutto proprio tutto? Il nostro mondo, la nostra organizzazione sociale, il nostro giudizio e la nostra mentalità moderna iniziano senza dubbio lì, negli anni che vanno dal 5 maggio del 1789 al 18 brumaio del 1799, data del colpo di Stato di Napoleone, anni che continuano a riempire di sé tutta la nostra epoca, fino ai giorni nostri. 

Tuttavia, la Rivoluzione francese ebbe una lunga gestazione, non comparve improvvisa e inspiegata come un fungo nella brughiera dopo un temporale. Le sue radici affondano in Europa in un periodo per noi piuttosto oscuro, quello che il grande storico Johan Huizinga, in una sua opera molto famosa, chiamò L’autunno del Medioevo. Nei secoli precedenti al suo clamoroso esordio nella tarda primavera del 1789, un processo rivoluzionario sotterraneo, che la precedette e le diede linfa vitale, aveva eroso lentamente gli architravi che sostenevano il grande edificio della cristianità medioevale, manifestandosi nello scisma luterano prima, e in quel grande movimento intellettuale che fu l’enciclopedia e l’autodefinitosi illuminismo poi. Karl Marx avrebbe detto: ben scavato, vecchia talpa.

La Rivoluzione francese ci ha tramandato di sé, veicolata da legioni di luoghi comuni e da una storia ad usum delphini, insegnata in ogni scuola di ordine e grado, un’immagine sostanzialmente falsa. A partire dalle scuole elementari fino all’università, la quasi totalità degli studenti se interrogata su quell’ormai remoto avvenimento ci risponderà molto probabilmente con una sfilza di banalità, che vanno dal popolo francese alla fame che si ribella alla tirannia e a una classe di nobili parassiti, fino all’immortale frase, assolutamente mai pronunciata, secondo cui la regina Maria Antonietta, informata della fame patita dalla povera gente, avrebbe esclamato: “Se il popolo non ha pane, dategli delle brioches.” E chi più di lei, un mostro tanto cinico e ottuso, avrebbe meritato di salire sul patibolo?

In questa sua opera Ian Dallas ci conduce con un’analisi profonda e assolutamente originale nel mondo occidentale e nella sua Storia; Storia in cui la rivoluzione francese ricopre un ruolo fondamentale. Numerosi sono i miti e le idee preconcette che egli demolisce senza riguardo. Ad esempio, ci dice che la miseria odierna di moltitudini di contadini sudamericani, africani e asiatici è senza dubbio infinitamente più dura e profonda di quella di cui si suppone abbiano patito i lavoratori della terra che vissero nella Francia del diciottesimo secolo, e nemmeno il più ricco degli aristocratici di allora può essere in termini di ricchezza anche solo lontanamente paragonato a un tycoon, ad un banchiere, ad un manager, perfino ad un calciatore famoso, dei giorni nostri. 

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La Rivoluzione di Danton, Marat, Robespierre, la Rivoluzione degli avvocati, perché sostanzialmente questo fu, è storicamente responsabile di un terribile genocidio, sul quale generalmente si sorvola, e sul quale non sono stati istituiti giorni della memoria, uno dei più crudeli della pur sanguinosa storia umana, il genocidio del popolo vandeano. Un popolo, si badi bene, non di ricchi e cinici aristocratici insensibili alle sofferenze altrui, ma di gente umile: uomini, donne, anziani, bambini la cui colpa sostanziale fu quella di restare ferma in difesa della sua fede, di quel mondo e di quello stile di vita che amava. Su di loro, costretti a migliaia e incatenati su battelli e zattere affondate a cannonate, si chiusero spietate le acque della Loira.

E forse per la prima volta il nemico della Rivoluzione, il vandeano, il prete, l’aristocratico, non fu più quel justus hostis, il nemico con cui un giorno ci si potrà forse accordare, e che non perde le sue prerogative umane, di cui ha scritto Carl Schmitt; la Rivoluzione ci restituisce il nemico che è bestia, mostro, orrore, e come tale deve essere annientato, distrutto, annichilito, e al quale tutto deve essere negato, oltre alla sua umanità, con la damnatio memoriae, perfino una degna sepoltura.

Nell’analisi di Ian Dallas, la Rivoluzione creò uno Stato formalmente laico, sostanzialmente ateo. Fu il primo modello di Stato che si pone al di sopra della religione, religione che rigetta e perseguita. Il nuovo Stato, questo edificio mostruoso, sostanzialmente fino a quel momento sconosciuto in termini di struttura piramidale e di complessità burocratica, che Dallas chiama Stato strutturalista, distrugge la chiesa cattolica in Francia e chiede ai preti un solenne giuramento di fedeltà a se stesso e al nuovo ordine. Chi lo rifiuta diventa automaticamente un refrattario, una non persona che potrà essere in qualsiasi momento incarcerata, uccisa o, a discrezione dell’autorità, inviata in una ridente località di villeggiatura, la Cayenna della Guayana francese. 

Tutto ciò anticipa quello che è avvenuto e avviene ai giorni nostri in Afghanistan, in Iraq, a Gaza, in luoghi sparsi ovunque nel mondo, le cosiddette renditions, ove la tortura può essere impunemente praticata, nomi cupi e sinistri, di fatto rimossi dai nostri media come Abu Ghraib e Guantanamo.

Per la verità, ci fu un tentativo da parte dello Stato rivoluzionario di darsi una religione; inventò la religione dell’Essere supremo. Era solo un paravento per nascondere l’odio profondo verso ogni religione. I rivoluzionari non credevano in Dio, perché la pseudo religione inventata dai giacobini e dai massoni mancava dell’essenziale di ogni autentica religione, mancava della misericordia.

Il modello francese da allora ha prosperato, si è imposto. Oggi, ridotta la chiesa cattolica a poco più di una ONG in via di dissoluzione accelerata grazie a decenni di sostanziale sottomissione al laicismo imperante, da sottomettere resta l’Islam. E seguendo un modello di successo, anche dall’Islam si pretenderebbe quello che si pretese dai cattolici ai tempi del terrore: che i musulmani brucino grani di incenso alla divinità statale, e al suo cosiddetto sistema democratico. Che soprattutto rinuncino al Tawhid, alla supremazia di Dio su ogni cosa, accettando di divenire un Islam nazionale, con il suo bel registro di imam regolarmente registrati ed approvati dalla Repubblica, e che non ci sia una lingua sacra, ma, sul modello postconciliare cattolico, la liturgia  sia nella lingua parlata nel Paese, non nell’ arabo del Corano, e che le donne musulmane si scoprano, e che facciano il bagno seminude come tutte, che diamine. 

L’edificio rivoluzionario verrà poi completato e perfezionato da Napoleone, l’autore del colpo di Stato del 18 brumaio del 1799, uomo ambizioso e non meno crudele di chi l’aveva preceduto al potere, che si fece imperatore e che con le sue armate sconvolse l’Europa tutta. Tutto ciò però è quanto appare in superficie. Dietro agli avvenimenti e alla cronaca di quei giorni, c’è qualcosa di ancor più sostanziale e profondo. La Rivoluzione per la prima volta nella storia rompe quel legame che sempre c’era stato fra moneta e valore reale; essa sostituisce il solido Luigi d’oro con l’assegnato, cioè con un documento cartaceo con impresso un valore nominale, garantito dal nuovo potere rivoluzionario. 

Ian Dallas ci dice che quello è il vero inizio di questo nuovo mondo, un mondo dove l’economia e il “mercato” sono onnipotenti; d’ora in poi saranno i veri padroni di un sistema, quello occidentale democratico, in cui una classe politica generalmente mediocre, e per quel che conta davvero scarsamente influente, farà da paravento al potere autentico, quello dei banchieri, della finanza e dell’usura che ne è la vera anima ed il vero motore; è il terribile potere di quella che Ian Dallas chiama, con un termine molto appropriato, la Setta.

La lettura di questo saggio non lascia indifferenti, ben presto si ha la sensazione di essersi imbattuti in un testo che lascerà in noi un segno. Colpiscono l’ampiezza e la profondità del pensiero di quest’uomo, che fu in anni lontani anche attore in Otto e mezzo, film di Federico Fellini, e che incontrò poi la luce abbagliante della verità nell’Islam, a Fes in Marocco nel 1963, divenendo Abdelqadir as-Sufi. 

A Ian Dallas non manca certo una forte capacità di abbracciare campi vastissimi, e i più diversi, del pensiero contemporaneo. Colpisce questo suo introdurci con naturalezza ad un pensatore islamico come Ibn Khaldun, e presentarci poi quelli che lui definisce i quattro intellettuali più importanti della nostra epoca e cioè, il fisico Werner Heisenberg, i filosofi Martin Heidegger, ed Ernst Jünger, e il politologo Carl Schmitt. 

Come dice il titolo del saggio, verrà il tempo del beduino. Il mondo come preconizzato dal grande pensatore e storico arabo Ibn Khaldun nel suo testo fondamentale la Muqaddima, un’introduzione alla storia universale, un’umanità rigenerata nell’Islam troverà una nuova forma organizzativa, un nuovo modo di stare insieme, la Asabiyya; una società basata su una fratellanza non di sangue, ma dai legami molto più profondi e forti del sangue, perché l’Asabiyya sarà la vera comunità dei credenti dove vivono quelli che Ernst Jünger, nel suo Trattato del ribelle, chiama i Waldgänger,  cioè coloro che camminano nel bosco, coloro che si sono sottratti al giogo della Setta, al giogo del denaro puro numero, puro nulla, alla schiavitù del denaro preso a prestito e dell’usura e, spezzato il regno della Setta, fonderanno quello che Carl Schmitt avrebbe chiamato il nuovo Nomos della terra.